Una squadra priva di “varianti”. La partita con il Torino (ma anche quella con l’Atalanta e in parte quella con il Chievo) hanno sottolineato un limite che era già chiaro lo scorso anno: il gioco della squadra di Mazzarri segue un copione consolidato e per questo abbastanza noto. La diversità consiste nel fatto che non c’è più Lavezzi. L’argentino era un solista, a volte faticava a stare dentro lo “schema” ma in compenso, nei momenti di difficoltà, quando la squadra non riusciva a esprimere il suo gioco, con l’intuizione individuale “apriva” le difese avversarie. Quell’elemento di imprevedibilità nel Napoli attuale manca e manca soprattutto quando le situazioni si complicano, quando gli avversari si chiudono, quando hai più bisogno di qualcuno che salti l’uomo creando superiorità numerica nelle zone decisive del campo (ad esempio, la trequarti avversaria). A disposizione del tecnico non è stato messo un omologo di Lavezzi (tale non può essere Insigne, tanto per caratteristiche quanto per esperienza e capacità di incidere sugli equilibri di una partita). Il Napoli fatica (come lo scorso anno) a gestire il risultato anche perché il suo gioco consiste nel cedere l’iniziativa all’avversario per rubar palla e mettere in moto, negli spazi ampi, giocatori dotati di grande corsa come Cavani o lo stesso Hamsik. Ma non sempre le cose funzionano nello stesso modo, soprattutto quando di fronte ti ritrovi avversari che l’iniziativa non vogliono prendersela. O se la prendono troppo fino a schiacciarti negli ultimi sedici metri. Dal mercato estivo non sono arrivate reali alternative, non ad esempio una punta robusta capace, nei momenti di difficoltà, quando la pressione avversaria aumenta, di tenere palla e far salire la squadra. Forse se domenica scorsa Bianchi avesse vestito la maglia azzurra, il risultato sarebbe stato diverso.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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