Il paradosso c’è e si vede: grande con le grandi e piccolo con le piccole. Era già successo negli anni passati e sta capitando ancora: e ciò vuol dire che bisogna intervenire soprattutto psicologicamente, però (forse) anche tatticamente. Al Napoli, un anno fa, la Champions è andata di traverso non solo alla penultima di campionato, a Bologna, ma soprattutto in alcune gare in apparenza semplici e invece trasformate in autentiche torture: l’elenco degli scivoloni (pieni o a metà) è abbastanza robusto, nasce a Verona con la sconfitta contro il Chievo e però include pure, a esempio, lo 0-0 interno con il Cesena. Solo incidenti di percorso naturali in un campionato ma il pareggio con il Catania, al Cibali, con la superiorità numerica per novantatré minuti (recuperi compresi) ha riacceso la spia e alimentato il dibattito.
Maran ci ha messo la disposizione, le linee di difesa e centrocampo strettisime; i suoi uomini hanno infilato nel match una ferocia e una determinazione rimarchevoli; il Napoli non è riuscito a trovare le soluzioni alternative al proprio gioco, che è fatta di slanci continui, di aggressività, di forcing, di azioni accompagnate sugli esterni, di una manovra verticale sulla trequarti da far scivolare nello stretto, negli uno-due. Nel meccanismo, non è prevista la presenza del lancio lungo per andare a cercare la sponda del centravanti-boa. Semmai, tra gli schemi, la ripartenza a campo largo, con attaccanti che vanno cercate attraverso De Sanctis immediatamente, punta a esaltare la velocità degli interpreti e l’effetto sorpresa della manovra. Ma il campo non mente e quella difficoltà a digerire la difesa schierata è una tendenza quasi allergica.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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