Perché i figli (calcisticamente adottivi) so’ piezz ‘e core, son tracce (indiscutibili) del proprio vissuto, son rigurgiti della memoria che può piacevolmente abbandonarsi e andare a rovistare tra i ricordi che ora scivolano lievi, passeggiando intorno alla collina Fleming ch’è un’eco di rievocazioni e son domande dei passanti «affamati» d’un parere da portarsi a nanna e rassicurati con naturalezza: « Io sono semplicemente orgoglioso di loro ». Perché i figli, «quei» figli, che ora galleggiano in quella nuvola di fumo, son la rappresentazione d’una favola scritta mentre l’universo-calcio era distratto da altro e Zeman aspirava se stesso, tra diagonali e verticalizzazioni profondissime, sovrapposizioni e una tesi scolpita nel marmo d’un boemo ch’è tutto d’un pezzo e che quei giorni glielo raccontò « di credere sempre nel lavoro, onestamente ». Pescara, Italia: c’è un romanzo popolare che ora decolla verso il Brasile, per un Mondiale che in quel tridente (vabbè, chiamiamolo così) Verratti-Insigne-Immobile racchiude la filosofia d’un uomo.
ITALPESCARA. E’ l’estate del 2011 e l’Idea è nelle corde di quel desiderio di provarci ancora, stavolta assieme, miscelandosi nell’«Adriatico», ch’è uno stadio ma anche il mare aperto per lanciarsi: c’è Zeman, il senso smaccato per l’estetica, l’ostinata ribellione ai luoghi comuni; c’è il 4-3-3, la volontà (lodevole) di fondersi con quella città.
«VAI, LORENZO». Le ombre della sera, del 1° giugno del 2014, servono per cogliere le gratificazioni che arrivano da Prandelli ma che a Lorenzino, forse (ma sì, forse) il prediletto erano state preannunciate nelle telefonate dei giorni scorsi, qualche sussurro per tener su il suo «bambino», spiegargli che magari sarebbe andata bene, che sarebbe stato giusto giocarsela sino all’ultimo allenamento, a testa alta, e senza aver (eventualmente) né rimorsi, né rimpianti. Però, pensarci, Zdenek: Pescara, luglio di tre anni fa, fu un turbinio di evoluzioni, Verratti lasciato scivolare in mezzo al campo, lui ch’era stato sempre una mezz’ala; e Immobile, una rete con il Grosseto e una con il Siena nel proprio curriculum vitae, in totale due, divenuta scommessa d’un terminale offensivo nel quale lui ne avrebbe (poi) addirittura segnate 28; ed infine Lorenzino, l’Insigne che va ora a completare (e mica solo idealmente) quella bozza d’un azzurro prodigioso, nel quale s’intravedono le pennellate di un artista, quasi un veggente, capace di scorgere laddove nessun altro ne era stato capace la meglio gioventù di questo Paese, la Giovine Italia. « Io sono semplicemente orgoglioso di loro ».
Fonte: Corriere dello Sport
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