NAPOLI – Castellini, Boldini, Carannante. E poi De Vecchi. E Bertoni, che fece il gol del 2-1, inutile. Poi Bagni, Penzo, Dal Fiume e lui, soprattutto lui: Diego Armando Maradona. Fu il suo debutto in campionato. Sedici settembre 1984, stadio Bentegodi. Pieno di sole e di gente. « E’ il Napoli più forte di sempre », disse Marchesi. Seduto fiero sulla panchina. Pure Bruscolotti si sbilanciò: « Con questi sette acquisti possiamo davvero sognare lo scudetto ». Si parte da Verona. Struggente, fascinosa e spesso fatal. Lo fu quella volta anche per gli azzurri. Briegel arrivava ovunque. Leve grosse e polpacci che sembravano pale meccaniche. Calciava palloni e… Maradona. Correva e picchiava forte. Diego aveva la dieci bianca e i capelli folti, ricci e neri. Ogni pallone che toccava, una delizia.
SFOTTO’ – L’immaginazione che diventa realtà. I tifosi del Verona fischiano. Lo temono, in fondo però se lo godevano pure loro. Tre a uno il risultato finale: vince l’Hellas di Elkjaer, quello che segnò alla Juve senza scarpetta. A fine anno fu campione d’Italia. Sfottò, rivalità, passioni, il tifo qualche volta contaminato da insulti beceri. Che poi però hanno partorito distillati di ironia. Verona-Napoli è anche lo striscione “Giulietta è ’na zo…la”, diventato un libro e che un po’ ha fatto la storia delle curve. Fu esposto al San Paolo. Ma è al Bentegodi che di fatto nacque. Lì, i cori contro i napoletani; a Fuorigrotta la risposta più esilarante. La memoria è un archivio. L’anno della B, il 2007. Si decise quasi tutto a Verona. Tre a uno il finale, capovolto stavolta. Domizzi, Calaiò e Dalla Bona i marcatori. Fu però Matteo Gianello il protagonista. Il portiere di Bovolone, nato a pochi chilometri dall’Arena, parò tutto. Decisivo. Divenne un eroe. E il giorno dopo trovò la folla sotto casa sua a Pozzuoli. “Grazie, andremo in A per te”.
QUANTI INCROCI – Verona-Napoli ieri oggi e domani. Quel che è stato, poteva essere e accadrà. Intrecci, fatti e uomini rimbalzano come un pallone. Traiettorie da raccontare. Quelle del mercato innanzitutto. La cronaca ha la precedenza. Jorginho, il brasiliano col doppio passaporto e il profilo giusto per Benitez, è un’idea, una trattativa, un’ipotesi tra le altre. A fine partita, una chiacchierata potrebbe starci. Coincidenze. Gli affari decollano anche così. Qualche volta arrivano, spesso si perdono. Quello di Donadel l’estate scorsa si definì in un attimo, l’ultimo possibile. Intesa, stretta di mano e firme per il prestito. Ex veri e mancati. Cannavaro in gialloblù la parentesi di un anno. Ventiquattro presenze ed un gol nel 2001-2002. Poi il ritorno a Parma. Behrami ci ha giocato invece tre stagioni dopo: tre reti, chilometri percorsi, palloni recuperati e via alla Lazio. Di corsa, sempre. Ricordi, aneddoti, storie seppellite ormai sotto due dita di polvere. Sean Sogliano, il ds con un futuro possibile al Milan, e Roberto Bordin, il vice di Mandorlini, due azzurri sbiaditi dal tempo. Colore che poteva essere anche di Halfredsson, Iturbe e Cirigliano. Edy Reja si invaghì del vichingo di centrocampo un pomeriggio al San Paolo. L’islandese giocava nella Reggina. Aveva fisico, intelligenza tattica e inserimenti coi tempi giusti. Fu un’idea, rimase lì. Come altre, come quelle suggestive per Iturbe e di prospettiva per Cirigliano. Due talenti precoci. Svezzati per ora e ancora in crescita. Pier Paolo Triulzi, agente di Cavani, il gancio col loro procuratore. Se ne parlò, e per un po’. La tentazione era soprattutto Juan Manuel Iturbe, bello calcisticamente e però quasi impossibile da prendere in quel momento. Troppi interlucutori, una proprietà del cartellino confusa e il rischio di una squalifica. Non se ne fece nulla. Iturbe a Napoli c’è comunque stato, e di recente: due volte ospite di Diego Armando Maradona junior, aspirante procuratore con l’animo e il Dna sudamericano. Una passeggiata sul lungomare, una visita in città e gli occhi spalancati passando per il San Paolo. Emozioni semplici di chi col dieci sulle spalle è venuto su sognando Maradona, il papà, el mas grande, quello che debuttò una domenica al Bentegodi. Trent’anni fa. Sembra oggi.
Fonte: Corriere dello Sport
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