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Vergogna razzista al Dall’Ara: interrotta dai cori ”Caruso” di Lucio Dalla

«Caruso» per chi va in giro per il mondo è una specie di altro inno italiano. Il melodramma cantato da Lucio Dalla è una canzone che non ha patria. Figurarsi se può avere il simbolo o i colori del Napoli o del Bollogna. Eppure per un folto manipolo di ultrà della curva Andrea Costa dello stadio Dall’Ara che i tifosi azzurri stessero lì a intonarla, all’unisono, strofa dopo strofa, non poteva essere insulto peggiore. E così, al secondo ritornello di «te voglio bene assai» il disco non è mai arrivato. Perché uno speaker armato di buon senso, ma pare dietro l’input della dirigenza rossoblù, si è precipitato in cabina audio per chiedere che venisse messo fine a quello scempio. La canzone, quell’inno all’amore e all’amicizia, è stata l’ennesima occasione per vomitare su Napoli e i napoletani dei cori d’odio. Impregnati di razzismo, certo. Ma soprattutto di ingiustificata violenza. E così mentre i settemila, ma forse anche ottomila tifosi azzurri cantavano «Lì dove il mare luccica», dalla parte opposta partivano ululati con il solito «Lavali con fuoco, Vesuvio lavali con il fuoco». Una vergogna che dà il senso di un calcio che somiglia sempre più a un manicomio. Quel gruppetto di ultrà si è sentito, forse, oltraggiato dal fatto che i napoletani violassero uno dei simboli della città. Come se Lucio Dalla possa essere solo o bolognese o napoletano. E non patrimonio di tutti. Occasione persa, l’ennesima. «Caruso» è durato poco più di un minuto. La voce senza tempo di Lucio si è interrotta improvvisamente. Bruscamente. Sembrava una bella idea quella di mettere la musica soave del brano, forse, più famosa dell’artista emiliano. Un modo per unire con un filo, sotto il nome di Dalla, due città che il cantante ha amato immensamente. Un errore. Il gesto di accoglienza è stata l’occasione per mostrare il volto peggiore di un piccolo pezzo dello stadio di Bologna. Eppure la musica non dovrebbe dividere. E fischiare chi canta «Caruso» è un po’ come fischiare chi canta l’inno di Mameli. Come si può? Una volta, nel 1920, fu proprio una canzone napoletana «’O sole mio» a sostituire l’inno nazionale all’inaugurazione delle Olimpiadi di Anversa. «Caruso» è il capolavoro della canzone d’autore, il punto più alto della poetica di Dalla: lo scrisse a Sorrento in onore del grande tenore (napoletano). Avrebbe dovuto stringere bolognesi e napoletani in un unico coro. Invece, non è stato così. Il brano è durato poco più di settanta secondo, o giù di lì. I cori, molto di più. Ripetuti nel corso della gara. Sugli spalti è apparso anche uno striscione con la scritta: «Sarà un piacere quando il Vesuvio farà il suo dovere». L’idea della canzone stile inno prima di Bologna-Napoli era stata di un tifoso napoletano, direttore di Istituzione Musei Bologna, Gianfranco Maraniello, ed era stata accolta dal presidente onorario dei rossoblù, Gianni Morandi. Prime note e tifosi del Napoli cominciano ad applaudire con l’invocazione «Lucio Lucio». «Quella canzone unisce bolognesi e napoletani nel segno di Lucio – aveva detto Morandi – La musica è una cosa che stempera gli animi e aiuta le tifoserie, anche ad avere più correttezza sugli spalti». Ma il messaggio non è arrivato. Anzi, peggio: non abbiamo nulla da dividere con i napoletani, il concetto. Nel tariffario rigido di chi sgarra, questo costerà probabilmente la chiusura della curva. Ma la figura è assai peggiore della sanzione.

 

Fonte: Il Mattino

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