Erano quasi tutti poco noti, hanno lavorato nel buio, si sono allenati come pazzi per fare sì che il Torino vivesse questo ritorno all’agio della serie A. Se c’è un artefice magico del Torino e di tante altre squadre rivitalizzate, questi è Giampiero Ventura. Oggi gli tocca il Napoli. Ventura ebbe una breve parte da protagonista nella costruzione di questo Napoli che deve guardarsi dalle insidie tattiche dell’ex allenatore che si (ri)scopre e procede nel suo obiettivo di sempre: l’adrenalina da panchina. «Non cerco contratti ma solo il brivido del campo». Un continuo spostarsi da un club a un altro, ogni volta la carriera che comincia daccapo. «Ha mai sentito parlare del popolo dei creativi, dei cervelli in fuga? Forse sono anch’io un talento che non riesce a trovare le giuste collocazioni…».
È vero che una delle sue specialità è la ricostruzione di calciatori e squadre in disarmo?
«Quando non hai dei campioni devi vivere di idee, di colpi di intuito. Bisogna produrre un calcio che colmi il gap tra chi ha ottimo materiale umano a disposizione e chi deve costruire la casa con i mattoni che ha. Ecco mi sento l’architetto di queste case».
Il Torino è una di queste.
«Sono riuscito nell’operazione forse più complessa della mia carriera. Perché, ben al di là di riproporre un gioco vincente, c’era da rivitalizzare l’ambiente. Mi ha fatto da apripista un tassista al mio primo giorno da torinista: non le chiediamo nulla, solo di poter ricominciare a sventolare con gioia le nostre bandiere dopo tanti anni bui».
Bravo nello gestire le risorse umane, ideatore di un calcio giudicato bello e temerario ma perché i grandi club non si sono accorti di lei?
«L’estetica del gioco è una medaglia e basta. Per salire quei gradini bisogna essere bravi nelle relazioni, avere buona stampa e non perdere mai d’occhio la propria visibilità. Si bada all’involucro e non al contenuto».
Lei farebbe spendere a un suo ideale club 70 milioni per Cavani?
«Li vale, eccome. Non è solo un fuoriclasse, ma un giocatore emblema: quando compie quei recuperi percorrendo il campo da un capo all’altro, non se ne giova solo la tattica ma anche e soprattutto la squadra, perché quelli sono dei messaggi forti ai compagni. Ovvero non arrendetevi e non fermatevi mai».
Che accadde nel Napoli, lei fu il primo allenatore dell’era De Laurentiis e venne esonerato d’amblè?
«De Laurentiis era ancora inesperto della materia, si fidò dei consigli altrui. Ora che è entrato al cento per cento nel calcio e sa cosa fare. Allora cominciammo il campionato di C in ritardo, non avevamo calciatori tesserati e quando andai via ne furono acquistati ben dieci. Poi mi si rimproverò di giocare a tre. Guarda un po’, il Napoli non ha mai smesso di giocare così… Eppure il presidente fu indotto a non avvalersi più di me».
Fu Marino ad agevolare la sua uscita dal Napoli?
«A Marino sono comunque riconoscente, anche se in quel caso avrebbe potuto riflettere di più».
Stasera di nuovo faccia a faccia con il Napoli. Nel Torino ci sono ben quattro napoletani più un ex allenatore.
«Spero che questo ci motivi di più. Di fronte avremo uno squadrone che merita il secondo posto e se lo perdesse sarebbe davvero ingiusto. A noi toccherà fare la partita della vita».
Il Napoli non ha vissuto un periodo facile recentemente.
«Ma ha segnato tre reti all’Atalanta e ha creato tante palle gol. La sua stagione è da incorniciare».
Anche quella di Cerci, arrivato in Nazionale.
«In tutto sette giocatori convocati nelle rappresentative. Capisco Mazzarri che si lamenta per i nazionali, però noi lavoriamo per portare questi giocatori a certi livelli».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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