NAPOLI – Quaranta milioni di sfumature azzurro, per regalarsi un sogno, per fasciarsi, per concedersi la favola che un principe del gol ha nelle proprie corde: il calcio ai tempi del Pipita è in quella somma di motivazioni che fa la differenza, nella bramosia di concedersi tutto – e dunque nulla escluso – che al minuto ottantanove d’un Torino-Napoli inchiodato sullo 0-0 spinge ad andare a fare spalla a spalla con Glik, a sfiorarlo e però a toccarlo, a lasciare che decidano un po’ gli dei e un po’ Doveri, prima che il famelico bomber che si nasconde sotto la barba provveda da sé, un destro dei suoi e avanti così, verso la gloria.
Si scrive ventuno volte Higuain e si ripensa a ciò ch’è stata questa città «maledettamente» prolifica, che alle generazioni più recenti ha offerto quel fenomeno paranormale chiamato Cavani e però anche, e val la pena di non seppellire la memoria, i Careca, i Giordano, i Carnevale, le costole d’una Ma.Gi.Ca che ha dato un senso all’esistenza: ma ora ch’è comparso el pipita, lo sguardo fintamente burbero, la bulimia di chi ha sempre l’appetito e non vuol smetterla di mangiare, siamo di nuovo alla Storia del calcio, perché questo è talento vero.
A PESO D’ORO- Quaranta milioni di grazie, sussurrati da De Laurentiis e da Benitez e da Bigon, canticchiate mica solo all’Olimpico di Torino, mentre il cronometro se ne va velocemente verso il tormento e scopre cosa possa mai rappresentare l’estasi: spallata, randellata ed è sempre la corsa pazza verso la curva e all’incontro della Champions, non blindata però tutelata dal rientro della Fiorentina (e magari dell’Inter), non garantita e però blandita – per il momento – attraverso il terzo posto e la speranza di poter riavvicinare la Roma, alla quale far sentire il proprio alito addosso: «Questa vittoria è importantissima, perché ci consente di restare lì…». E’ meno tre (in teoria) è almeno un’altra prova di forza, un messaggio disperato affinché non finisca adesso, non subito, non a dieci giornate dalla fine, non mentre il gioco è andato indurendosi e quel duro del pipita ha continuato a giocare come sa: quattordici reti in campionato, su ventisei presenze, lui ogni due partite ha la necessità fisiologica di lustrare le proprie medie, di mostrare la verve e la vena prolifica, di mettere l’autografo sulla giornata, perché altrimenti senza rete diviene un volo pericoloso verso il nulla.
TENDENZA GONZALO- Un uomo, uno stile di vita, una griffe (verrebbe da dire) che va sempre di moda, da Madrid al Napoli, dalla Nazionale alla Champions, dalle coppe Nazionali all’Europa League, dalla Spagna all’Italia e poi ovunque gli capiti di passeggiare con quell’espressione perennemente severa che racchiude la voglia matta d’imporsi e però anche la fiera umiltà di non indietreggiare mai, anzi di prendersi le proprie responsabilità e qualche volta pure quelle altrui, di trasformarsi in leader con i fatti, il pressing asfissiante su chiunque, come un ragazzino e soprattutto ventuno gol sin qui ma anche una produzione industriale di assist, e siamo arrivati a dieci, perché dentro ad «el Pipita» si nasconde un filantropo, il centravanti moderno che non conosce l’egoismo ma ha sposato il concetto di squadra e quindi il progetto.
CACCIA AL RECORD -Il miglior Higuain di sempre è «vecchio» di quattro anni appena, indossava la camiseta bianca ed atterrò placidamente a ventinove capolavori d’un artista nato per stupire: e ora che può battere se stesso, spingendosi al di là del personalissimo muro, ci sono da regalarsi la Champions, l’Europa League e la coppa Italia da concedersi ancora. «Io qua sono felice». Perché un Pipita è per sempre.
Fonte: Corriere dello Sport
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