IL COLPO. Gennaio del 2012, eppure pare ieri: il pallone d’argento (del Sud America, ovviamente) è un gioiellino che brilla alle spalle di Neymar, un «fenomeno» che scalda l’inverno gelido e che si prende l’altra metà d’una fiera sfarzosa, in cui la meglio gioventù danza lieve. E’ un braccio di ferro ad oltranza, spaccato con decisione dal Napoli, che spazza via il Chelsea e l’Arsenal, l’Inter e chi s’è spinto per mesi e mesi sino in Cile per leggere dentro quella sfera: dodici milioni di euro, cash, alla Universida ed affare fatto, ma fino a prova contraria.
IL REBUS. Vargas è un bambino (prodigio?), più tormento che estasi, ma Napoli rimane periferia del suo calcio, qualche rara apparizione, una fiducia mai colta – mai ricevuta – appieno, scampoli di partite che comprimono il talento, lo irrigisdicono e lo spingono ad emigrare ancora: sei mesi in Brasile, al Gremio, qualche lampo che acceca, prima di esplodere ancora – e sempre – con la propria Nazionale, il rifugio accogliente d’un bomber che ha bisogno del richiamo della patria (diciotto gol in trentasette partite, quasi un gol ogni due partite).
SI CAMBIA. Il mistero (fitto, fittissimo) resta anche nel semestre al Valencia, dopo che pure la cura-Benitez non è riuscito a produrre effetti miracolosi: ma la Spagna è assai prossima all’Italia e il terzo trasloco conduce in Inghilterra, al Queens Park Rangers, dove segna poco, quasi niente – una sola rete – però qualcosa raccoglie, la stima del club e un desiderio prepotente di starsene in Premier League. «Qui mi piace e penso di poter fare ancora meglio. Me lo dicevano i miei amici del Napoli, questo è il campionato giusto per me». Venticinque anni: si può ancora fare…
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