E poi esplode il cuore: perché a quel punto, mentre intorno c’è ancora la malinconia di Bilbao, serve una dimostrazione di sè per tirar fuori il Napoli dall’abisso psicologico nel quale è piombato. E’ una corsa contro il tempo, con il cronometro che ticchetta nel cervello, il Genoa che si sta sgonfiando – dopo esser stato padrone – e l’atmosfera triste che s’avverte: e magicamente, pum, il Napoli riemerge. E’ 2-1, dopo aver sofferto, rischiato, balbettato calcio; ma il quarto d’ora che scaccia via l’incubo è da rivedere, perché contiene agonismo, lucidità, persino un football godibile.
COME SEMPRE. E’ una serata strana, nella quale il «dolore» per l’eliminazione dalla Champions s’avverte negli sguardi della gente e che il Napoli prova a ricacciar via. Ma pure stavolta il lampo è un’illusione che abbaglia: Marassi è ancora in piedi quando la transizione di Insigne spacca in due il Genoa e lo schiaccia. E’ un contropiede classico, che ora si chiama ripartenza, sostenuto a sinistra da Higuain, maestoso nell’assist, e chiuso dalla volée elegantissima di Callejon. In teoria, c’è un tappeto rosso(blù) per giocarsela a campo largo, per concedersi alla capacità di ribaltare l’azione; in pratica, è una scossa che scatena il Genoa, capace di prendersi il rettangolo in larghezza ed in profondità e di ararlo con dolcezza. Il Napoli indietreggia, smarrisce le geometrie di un Inler per mezz’ora dilagante, subisce sulla propria sinistra (dalle parti di uno Zuniga soffocato) l’irruenza di un Edenilson scatenato e a destra l’ondeggiare di Kucka e l’intrapredenza di Marchese che diventa l’uomo in più sulla fascia. Come a Bilbao, Hamsik scarabocchia un capovolgimento; come a Bilbao, il Napoli s’inginocchia su se stesso, trova in Rafael – stavolta – la Provvidenza, lo ringrazia per due miracoli (20’ e 27’) su Pinilla, soffre sui palloni alti, barcolla e poi tracolla su un pallone facilmente leggibile di Marchese, su quale Koulibaly sbaglia il tempo e si ritrova castigato da Pinilla.
DIFFERENZE. Il Genoa ha gamba, ma mica solo quella: le differenze tecniche sono rimosse dall’organizzazione, dall’ostinata ricerca del palleggio, dalla capacità di Gasperini di chiedere ampiezza, per tirar fuori gli esterni (bassi) e poi partire alle loro spalle. E’ c’è superiorità numerica ovunque, persino nella fase di non possesso, con coperture immediate. Il Napoli è sintetizzato in un coast to coast (33’) di Insigne, afferrato con un allungo da centrometrista (ma fallosamente) da Sturaro proprio al momento della battuta; poi è il manifesto d’un processo involutivo che patisce la pressione altissima (altrui) ed ha smarrito la verticalità dell’azione.
IL CAOS. Non c’è verso di uscire da là dietro, perché il Genoa ha il serbatoio pieno, arriva in anticipo su qualsiasi seconda palla, chiude spazi e va in crisi solo (17’) sulla più bella giocata napoletana che Zuniga (in per cussione) vede annullata da un Perin reattivo. Il Genoa sente venir meno le forze ma è orgoglio allo stato puro, il Napoli scopre energie intermittenti con l’innesto di Mertens (ma pure di De Guzman) e comincia a dar respiro allo sviluppo d’una manovra ora godibile, «aprendo» avversari disperatamente protesi a giocarsela egualmente e comun que allo stremo. E quando il Genoa s’allunga (38’) la palla del match point ce l’ha Insigne (che fa trenta metri per arrivare sfiancato con il destro tra le braccia di Perin); e quando il Genoa vacilla poi ce l’ha (46’) Mertens che scopre in Perin in nemico finale. Le streghe sono appollaiate in ogni angolo di Marassi, un pallone pazzo (48’) danza dinnanzi alla porta e non trova deviazioni, Higuain ci arriva al di là del secondo palo e non pesca l’angolo. Ma il carattere ha un peso, a volte almeno quanto la differenza del bilancio, e in quella sfera che a trenta secondi dalla fine va ad afferrare De Guzman c’è la felicità ritrovata. Per ora quella, aspettando il Napoli (compiutamente).
Fonte: Corriere dello Sport
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