Un’intervista particolare quella affrontata oggi nella rubrica “Uno su mille ce la fa”; è la storia di un giovane attaccante classe ’91, della Virtus Volla, squadra dell’Eccellenza campana, che si racconta nella nostra rubrica e parla del percorso “inverso” compiuto fino ad oggi, con una tappa d’eccezione: l’esperienza nel vivaio del Napoli, con compagni come Insigne e Maiello. Questo è il discorso principale affrontato nella chiacchierata con Antonio Silvestro.
Iniziamo, come di consueto, dalla tua storia. Quando hai deciso di voler intraprendere questo sport e quali sono state le tue esperienze fino ad oggi?
Ho iniziato abbastanza presto a giocare nella scuola calcio “Luigi Vitale” di Casoria, dove sono stato per 7 anni. Compiuti 13 anni, sono stato prelevato dal Napoli dove sono rimasto per altri 6 anni, fino ai 19, quando sono andato a Sorrento, che militava nel campionato di C1 e dove mi sono allenato con la prima squadra, disputando due partite con quest’ultima. L’anno successivo ho trascorso metà campionato a Rimini in serie D e l’altra metà a Mazzara, sempre serie D.
Quest’anno sono tornato a Napoli, gioco con la Virtus Volla, squadra dell’Eccellenza campana.
Come mai il tuo percorso sembra quasi inverso? Con le tue esperienze precedenti hai trovato difficoltà quest’anno trovare una squadra nel professionismo o in serie D?
Purtroppo ho dovuto fare una scelta. Nonostante abbia avuto richieste da parte di alcune società, soprattutto in serie D, come il Rimini che mi ha proposto di tornare a far parte della squadra, ho dovuto fare una scelta dettata principalmente dal fattore economico. Qui a Napoli ho trovato un lavoro, e lo stipendio che percepisco con la Virtus Volla è superiore a quello che mi garantivano le altre squadre. È bello sognare, ma a 21 anni credo di dover pensare anche a costruirmi un futuro e a occupare un ruolo nel mondo lavorativo e professionale. Al giorno d’oggi è già un traguardo riuscire a trovare un lavoro e mi ritengo fortunato a riuscire a conciliare il “dovere” e il “piacere”.
Se dovessi immaginarti fra una decina d’anni, ti vedi dietro una scrivania o in mezzo a un campo?
Preferisco non pensare a lungo termine; voglio impegnarmi giorno per giorno su quello che faccio e portarlo a termine al meglio, che si tratti di calcio o di qualsiasi altra cosa. Ovviamente, essendo questo sport una mia grande passione, vorrei continuare a lavorare in quest’ambito e probabilmente se avessi capito prima l’importanza delle opportunità che mi si sono presentate, oggi forse sarebbe tutto diverso.
In che senso? Quali sono i rimpianti che porti nel tuo bagaglio?
Non ho saputo sfruttare al meglio le occasioni che ho avuto, anche perché il momento decisivo della mia carriera calcistica ha coinciso con un’età difficile. A 15 o 16 anni sei nel pieno dell’adolescenza e diventa più difficile capire di dover fare dei sacrifici per ottenere dei risultati; credi che ci sarà tempo per le rinunce e vorresti solo divertirti come tutti gli altri ragazzi della tua età.
Se ripenso ai 6 anni in cui sono stato a Napoli mi vengono in mente alcuni compagni di squadra, miei coetanei, come Insigne o Maiello, che ora si ritrovano in una realtà completamente diversa, giocando in squadre di serie B e vivendo di ciò per cui si sono sempre nutriti. Penso anche ai sacrifici che hanno fatto negli anni in cui ho avuto modo di conoscerli: impegno costante, vita sana, un pensiero fisso diretto al calcio dentro e fuori dal campo.
Razionalmente riesci ad ammettere i tuoi errori ed è già un ottimo risultato. Credi che ci sia ancora spazio per te nel mondo del calcio?
Ho un’età diversa e una maggiore consapevolezza della vita, per questo posso guardarmi indietro e pensare di non poter commettere gli stessi errori una seconda volta. Il calcio di oggi è un settore difficile, ci sono troppe persone che cercano di farne parte e molti ci stanno dentro impropriamente, e tutto ciò deriva soprattutto dal giro di denaro che circola in questo sport; spero comunque di riuscire a ritagliarmi uno spazio perché vorrei rimanere legato a quest’ambito, magari in futuro anche come allenatore.
Il tuo ruolo è quello dell’attaccante. Credi che ci vogliano caratteristiche particolari per ricoprire questa posizione in campo?
Devi sicuramente avere un carattere forte e deciso, e una spiccata personalità. Ti ritrovi continuamente in difficoltà durante una partita e devi avere il sangue freddo di reagire a qualsiasi situazione ti si presenta; non puoi pensare neanche un secondo di arrenderti perché è la fine. Soprattutto con lo schema ad una punta con cui mi ritrovo a giocare, devo continuamente confrontarmi con due difensori, che, soprattutto nel calcio dilettantistico, non si fanno molti scrupoli nel difendere la porta. Diventa quasi una lotta più che un gioco.
Credi che ci sia una gerarchia in campo dovuta ai diversi ruoli?
Assolutamente no. Ogni giocatore ha un ruolo fondamentale, dal portiere all’attaccante; è un gioco di squadra e non si può vincere una partita se ognuno non fa il suo dovere. Se la squadra vince, automaticamente ne giova anche il singolo. Forse l’attaccante è quello più nominato perché facendo gol in qualche modo gli si attribuisce la vittoria, ma in realtà se la palla non è servita bene all’attaccante è quasi impossibile che questo faccia gol. È come una catena di montaggio, tutti collaborano per un obiettivo comune.
Cosa ti emoziona di più di questo sport?
Come dicevo prima, essendo io un attaccante ed essendo il mio compito quello di segnare, l’emozione più bella è quella di gonfiare la rete. È un’adrenalina che non si può descrivere a parole, bisogna solo provarla per capire. È una grande soddisfazione anche il fatto che si parli di te. Domenica per esempio ho realizzato una doppietta nella partita contro la Ferrini Benevento, che si è conclusa 3 a 1, ed è stata una grande emozione, che mi esalta e mi da carica anche per i prossimi incontri.
Un’ultima domanda. Qual è l’ideale di giocatore a cui aspiri?
Henry, che ha giocato a Dubai e ora è in prestito all’Arsenal. È un giocatore completo, ha tutto. È veloce tecnicamente, è bravo di testa; secondo me è il miglior attaccante in circolazione, lo seguo da tempo e l’ho sempre visto come un modello a cui aspirare.
A cura di Marianna Acierno
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