Proseguendo nel ciclo di interviste della nostra rubrica, “Uno su mille ce la fa”, raccontiamo oggi la storia di un giovane calciatore, Vincenzo Lucignano, difensore classe ’91, attualmente nella rosa dei titolari dell’Atletico Nola, squadra dell’Eccellenza Campana: una vicenda e una carriera che si distaccano dalle interviste fatte fino ad ora, perché Vincenzo ha effettuato un percorso “inverso”, costretto a tornare indietro sui suoi passi, avendo incontrato ostacoli non dipendenti dalla sua volontà. Un ragazzo molto determinato e che crede ancora nel calcio in quanto gioco e passione, e non a scopo unicamente di lucro. Questo è quanto emerge dalle risposte del nostro intervistato, ed è proprio quello che ci si aspetta di sentire da ragazzi giovani che credono fermamente in ciò che fanno.
Raccontaci in breve la tua storia. Come e quando hai iniziato? E quali sono state le tue esperienze calcistiche fino ad oggi?
“Ho iniziato nel 1995 circa, ero davvero molto piccolo, ma già con le idee chiarissime su cosa mi piacesse fare. I miei genitori decisero di iscrivermi alla scuola calcio “Luigi Vitale” di Casoria e lì ho trascorso praticamente metà della mia vita; sono cresciuto in quella scuola calcio, fino ad arrivare agli Allievi regionali. Subito dopo arrivò il mio momento: fui convocato nella Juniores nazionale con la Viribus Unitis, operazione di trasferimento riuscita grazie al Direttore Nando Troise, e da lì si può dire che sia iniziata la mia carriera calcistica. All’età di 15 anni circa approdai in serie D, con il Pianura, e sono arrivate le prime soddisfazioni; ero un under, il più piccolo di età della squadra, considerato una giovane promessa del calcio. Il secondo anno collezionai quattro presenze in serie D, che per un ragazzo di 15/16 anni sono un traguardo importante; vincemmo due volte il campionato e arrivammo alla finale dei play off. Era un momento felice per me, credevo che stessi iniziando ad avere un ruolo in questo settore ed ero fortemente motivato a costruire il mio futuro nel calcio. Poi, purtroppo, è cambiato tutto”.
Cosa è successo? Si evince tanta amarezza e delusione dalle tue parole.
“Delusione è dire poco. Nell’Agosto del 2010 mentre mi preparavo per il ritiro con il Pianura, che avendo vinto il campionato passava in serie C2, arrivò la notizia del fallimento della società, per un problema di accordo con il Comune sui campi da destinare alla squadra. Ero psicologicamente pronto all’esordio in una categoria che sentivo praticamente già mia, e invece mi ritrovai senza una squadra, svincolato dal contratto, e con un sogno infranto. Fu un vero e proprio trauma rendermi conto della situazione, ma decisi di tener duro, e di crederci ancora fino in fondo.”
Hai mai pensato di lasciar perdere tutto? Di dedicare i tuoi sforzi a qualcos’altro?
“Mai. Ero arrabbiato e amareggiato per un’organizzazione completamente assente e una società che mi aveva profondamente deluso, ma non ho mai smesso di credere nel calcio. In quel momento così difficile è stato provvidenziale l’intervento del mister Monaco, che mi ha portato a Castel di Sangro, in una squadra di Eccellenza. Terminato il contratto scelsi di tornare a Napoli, nella mia città, e ho fatto un provino per l’Atletico Nola, andato a buon fine. È una squadra che si è formata quest’anno e che dopo essersi assestata con la sede e dopo aver formato la rosa definitiva, sta dando belle soddisfazioni. Occupiamo una buona posizione in classifica, c’è un buon rapporto tra noi giocatori e anche con il mister Principe, con il quale ho personalmente instaurato un ottimo rapporto di fiducia reciproca”
Che tipo di differenze hai riscontrato nel passaggio dalla serie D all’Eccellenza?
“Diciamo che le differenze oggettive sono quelle che riguardano il gioco tattico e l’organizzazione delle società; in Eccellenza si gioca meno la palla e ci si concentra molto su uno scontro fisico con gli avversari, mentre in serie D è importante avere degli schemi di gioco e la partita stessa si svolge diversamente. Nel Pianura personalmente ho notato delle vere e proprie gerarchie; forse le notavo di più anche perché ero il più giovane della squadra; vigeva “la legge del rispetto”, se così si può dire: il pesce piccolo rispetta il pesce grande, altrimenti finisce per essere divorato, non so se la metafora rende l’idea!”
Come pensi che abbia influito su di te il salto all’indietro in termini di categoria che hai dovuto accettare?
“Inizialmente mi ha buttato a terra. Credevo che sarebbe stato impossibile risalire e ho avuto un momento di sconforto. Poi ho deciso di persistere, perché non riesco a immaginare la mia vita senza il calcio e l’unica cosa che potevo e che posso fare è solo continuare ad impegnarmi e spero che prima o poi le soddisfazioni arrivino. Credo, anzi, che quest’esperienza mi abbia aiutato tantissimo, sono cresciuto e ho imparato a tirar fuori le unghie quando la situazione si fa critica. L’Eccellenza è un campionato difficile, dove il debole in campo si nota subito e per salire di livello era giusto che mi fortificassi le ossa. Ora sono pronto e spero che arrivi presto il mio momento”.
A cura di Marianna Acierno
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