L eggere in quella palla di cuoio, peraltro colma del carteggio d’una burocrazia tipicamente nostrana, è un esercizio complesso, ancorché faticoso; né intrufolarsi, tra le crepe d’un gigante con i piedi d’argilla, può risultare incoraggiante. Il San Paolo è la testimonianza che gli anni – talvolta – sono quelli che s’avvertono dentro: e infatti, basta una perlustrazione seppur sommaria per pensare d’essere al cospetto d’un «vecchietto» che implacabilmente avanza verso l’età della pensione. E però c’è la Storia che sussurra malinconicamente un’ode al Passato, al bel tempo ch’è stato, agli anni degli scudetti e delle coppe, un nostalgico richiamo che trasforma un impianto in un museo da privilegiare a prescindere. I fatti separati dalle opinioni mostrano le piaghe d’uno stadio che si sta rivelando non più al passo con i tempi, che ha bisogno d’interventi anche urgenti, che ha un terzo anello ormai da un bel po’ infrequentabile, che se ne sta al centro d’un quartiere e lo paralizza per ogni partita, che è così poco calcistico e così inutilmente polivalente, che ha una copertura incapace di coprire: che è, quindi, da rivedere ancor prima che da correggere.
Ma ragionare in termini superficiali, e persino semplicistici, come si fosse al bar dello Sport è una tentazione nella quale è vietato cadere e l’uso della demagogia va rimosso, per non rischiare di cadere in fuorigioco. In Italia, lo spreco di danaro pubblico che s’è verificato in occasione dei mondiali del ’90 ha prodotto «mostri» ai quali viene concessa (ancora) cittadinanza solo per l’inesistenza di strategie d’intervento; il San Paolo – o il suo erede – rappresenta un’occasione seria, meritevole di rigorose (ed economiche) valutazioni, di un’analisi a tutto campo (ambientale, strutturale, sociale) intorno alla quale si gioca il destino (in sedicesimi) d’una città che sta cercando di affrancarsi dalle difficoltà oggettive in cui vive (ma pure dai luoghi comuni) e prova ad adeguarsi al passo del Napoli, divenuto in Italia e in Europa punto di riferimento, nonostante sia stata costretta a nascondere la polvere del proprio stadio sotto al tappeto. E forse stavolta l’esempio del calcio – magari ascoltadolo – può aiutare la politica a non finire in fuorigioco.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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