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Uno sgambetto e niente più. Sannino, l’emigrante napoletano che proverà a fermare gli azzurri‏

Giuseppe Sannino, una storia su cui si potrebbe girare un film. Un figlio di quella grande emigrazione interna che negli anni ’60 sradicò intere famiglie del Sud, costrette, per sfuggire alla miseria e con la speranza di un futuro migliore, a prendere la strada del Nord per fare da manodopera a basso costo per la grande industria italiana. La famiglia Sannino è una di queste, il padre parte da Ottaviano per andare a lavorare nella FIAT di Torino. L’infanzia del futuro tecnico, come lui stesso dichiarerà, non fu certo all’insegna del benessere tanto sognato. Sette in una stanza e il soprannome di ciabattino affibbiatogli dai coetanei a causa di quegli infradito vecchi e rotti che portava anche d’inverno. In tutto ciò c’era però la passione per il calcio, e, una volta cresciuto, una carriera discreta sui campi dilettantistici. L’esigenza della stabilità economica l’aveva però spinto ad appendere le scarpette al chiodo ed accettare il posto come ausiliare dell’Asl di Voghera. Sveglia all’alba e turno che cominciava alla 6 del mattino. Il richiamo del calcio era però troppo forte e, finite le 7 ore di lavoro, subito in macchina verso Monza dove comincia la sua carriera di allenatore. Una scalata vertiginosa, che l’ha reso simbolo di quella scuola di allenatori figli della gavetta, provenienti dai polverosi campi delle serie minori. Altro che ex giocatori improvvisatisi tecnici dall’oggi al domani. Promozione a Lecco e Pergocrema, prima della favolosa scalata col Varese, in tre anni dalla Seconda Divisione fino ad un passo dalla Serie A. Merito del suo saper coniugare la pragmaticità tattica tipica degli allenatori del Nord con la passione e la motivazione di quelli del Sud. Un ibrido vincente che gli consente di fare l’ultimo grande salto: la Serie A con il Siena. E qui la sua storia comincia ad intrecciarsi con il Napoli.

Per quanto ininfluente ai fini del passaggio del turno, quel Siena – Napoli di Coppa Italia di due anni fa difficilmente sarà dimenticato dai tifosi azzurri. La classica sfida di Davide contro Golia, che però si trasformò in una grande beffa. Il Siena, allenato dall’esordiente Sannino, riuscì nell’impresa di battere il Napoli 2-1. Uno smacco che fu però ininfluente. Il ritorno fu infatti agevolmente vinto dagli uomini dell’allora tecnico Mazzarri, che avrebbero poi alzato la Coppa Italia a Roma. Qualche mese prima invece c’era stato il primo incrocio tra il Napoli e Sannino. Un pareggio, un 1-1 che aveva dato un colpo alle ultime residue ambizioni Scudetto di un Napoli con la testa alla Champions. Da allora però Sannino, da potenziale bestia nera, si è trasformato quasi in un portafortuna. Tralasciando la vittoria azzurra all’ultima giornata sempre nel campionato 2011/12, sono stati gli azzurri a tenere a battesimo l’esperienza di Sannino a Palermo. Un 3-0 a domicilio che lasciò pochi dubbi. Infatti di li a poco arriverà anche l’esonero da parte di Zamparini (poi costretto a tornare sui suoi passi per cercare una disperata salvezza in extremis). Adesso Sannino ci riprova a Verona, sulla panchina di quel Chievo che diverse volte, anche in modo rocambolesco, ha rovinato le domeniche pomeriggio dei tifosi napoletani. Insomma possiamo definirlo, dopo il Bologna, un altro tabù da sfatare. Con i felsinei Benitez c’è riuscito, chi sa che non ce la faccia anche con i clivensi.

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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