Emery è un cognome che nel calcio è sinonimo di vittorie, tanto che in Spagna è stato accostato addirittura al Real Madrid?
«Io faccio l’allenatore perché vivo il mio lavoro con passione. A 32 anni ho iniziato ad allenare in Segunda B (terza divisione, ndr), poi Almeria e Valencia, undici anni dopo sono alla quarta partecipazione in Champions League e con due titoli di Europa League in tasca».
Ha citato il Valencia, quanto è migliorato tatticamente rispetto a quell’epoca?
«Nel Valencia il mio obiettivo era giocare la Champions, perché prima che arrivassi io erano anni che non si qualificavano, e perché la Coppa Campioni è la base della solidità economica di una società. La mia crescita sul piano professionale e personale è stata importantissima. E guardando indietro credo che a Valencia non abbiamo ottenuto di più perché ci siamo concentrati troppo sugli obiettivi economico-sportivi e poco sui sentimenti. Qui a Siviglia invece sono riuscito a fare dei progressi unendo questi due aspetti, perché anche le emozioni del gruppo e quelle che ti trasmettono i tifosi ti aiutano a vincere le finali».
Insomma sembra pronto per sfide ancora più grandi, ma allora perché ha deciso di restare al Siviglia?
«Ho sempre pensato che più esperienza fai allenando squadre che giocano le competizioni europee e più ti avvicini ai trionfi. E queste sono cose che mi ha dato il Siviglia. Ammetto che ho avuto la possibilità di andare ad allenare altre squadre e sono consapevole che nel calcio bisogna tenere sempre la porta aperta per continuare a crescere, ma anche qui posso farlo. Ci siamo qualificati per la Champions e insieme al Barcellona siamo l’unica squadra spagnola che giocherà una finale (la Supercoppa europea, ndr) ad agosto».
Non teme che sulla Supercoppa contro il Barcellona dell’11 agosto potrebbero influire negativamente le partenze di qualche altro top-player?
«È vero che l’anno scorso nella finale di Cardiff contro il Real, Alberto Moreno a 24 ore dal match era a un passo dalla firma col Liverpool, e noi decidemmo di non farlo giocare. Quest’anno bisognerà evitare situazioni del genere, il mercato chiude il 31 agosto, ma noi dobbiamo far sì di non compromettere una finale come è successo l’anno scorso».
Già ma con una big le finali non sono più facili da vincere?
«I successi si possono misurare in molti modi, io sono in una squadra top, ma nel mondo ci sono anche le “super-top”, come il Real Madrid, il Barcellona, il Bayern Monaco, il Manchester United, l’Arsenal, società che hanno a disposizione una grandissima forza economica e quindi anche il meglio del meglio in quanto a giocatori. Sono squadre costruite per vincere tutto. Un gradino sotto ci sono i top-team, come il Valencia e il Siviglia con le quali vincere la Liga o la Champions è molto difficile, ma noi i nostri successi li raggiungiamo perché abbiamo altri obiettivi».
A proposito di budget, riguardo all’offerta del Napoli ha fatto capire che i soldi non sono tutto, cos’è mancato a De Laurentis per portarla in Italia?
«Io sono riconoscente al Siviglia, lo rispetto e ringrazio per l’interesse dimostrato da altre società, anche perché conoscere gente del calcio è sempre importante, è una cosa che ti arricchisce. E De Laurentis è un presidente che ha manifestato un grande interesse per me e per il mio lavoro».
Però alla fine è rimasto a Siviglia, perché?
«Ringrazio il presidente del Napoli, mi ha fatto piacere conoscerlo, abbiamo avuto un bel colloquio. Questo ha provocato un dibattito qua a Siviglia, e il Napoli offre molto a un allenatore per crescere: un campionato che mi attrae, una squadra con buoni giocatori, alcuni di loro li conosco. Inoltre il faccia a faccia con De Laurentis è stato positivo, è un uomo che ha riportato in alto il Napoli, gli manca solo un pizzico per stare nella élite del calcio. Chi lo sa che il futuro non ci riservi un’avventura insieme a Napoli, ma ora come ora non era il momento di lasciare Siviglia, la mia priorità è la Champions e il Napoli non me la dava, mentre il Siviglia sì».
Quest’anno ci sono stati dei contatti anche con il Milan, però dopo si è raffreddato tutto, perché?
«Il Milan mi ha cercato per due stagioni, io logicamente li ringrazio e sono sempre disposto ad ascoltare, ma ho intrapreso un cammino che mi sono conquistato passo dopo passo nel Siviglia con la qualificazione in Champions. Però sono felice che anche grandi squadre come il Milan riconoscano il mio lavoro».
Eppure tra Siviglia e Milan ci sono stati vari affari, secondo lei, Bacca può proclamarsi capocannoniere della Serie A?
«Bacca è un esempio di quello che vuol dire crescere. La sua forza sono la fame e l’ambizione, perché non si pone limiti, ed è per questo che ha fatto quello che ha fatto nel Siviglia. Sono molto orgoglioso di aver lavorato e aver contribuito alla sua maturazione. Ora è al Milan, in un top club dove probabilmente, e anche lui lo sa, non può avere quello che gli avrebbe dato il Siviglia. A me interessa giocare la Supercoppa, la Champions, però Bacca ha la possibilità di vestire la maglia di una grandissima squadra che è addormentata. E lui vuole svegliare questo Milan ed essere partecipe di questa rinascita, è totalmente lecito. Per lui è un’opportunità e ha tutte le carte in regola per riuscirci, mentre per il Siviglia è un’iniezione economica importante».
Tragitto inverso, invece, per Rami che dal Milan è sbarcato a Siviglia.
«Rami lo conosco bene, l’ho allenato per due stagioni nel Valencia. È un giocatore che ci serviva per le caratteristiche che ha rispetto ai nostri centrali, ci faranno comodo la sua forza e le sue qualità nel gioco aereo. È un difensore che è stato nella nazionale francese e può tornarci perché ha le qualità giuste per farlo. In Italia ha fatto esperienza, ma è vero che è stato in una società che era addormentata e il suo rendimento non è stato comunque all’altezza. Però credo che qui lavorando duramente può tornare ai suoi massimi livelli, e il Rami che ricordo è un grande giocatore».
Ci può svelare come investirà il Siviglia il tesoretto di Bacca, meglio Immobile o il Chicharito per sostituire il colombiano?
«Da qui se ne sono andati Luis Fabiano, Negredo, Bacca, adesso dobbiamo cercare un altro Bacca, con un altro nome, ma con caratteristiche simili ai predecessori quando sono arrivati a Siviglia. Giocatori con voglia di migliorare, che garantiscono un buon rendimento in quanto a gol. Non è facile ma ci sono delle possibilità, c’è Chicharito, c’è Immobile e altri giocatori nel mercato che stiamo valutando. E’ importante la voglia, non l’età».
Mai pensato allo juventino Llorente?
«Come gli altri che ho citato è un top-player a livello economico e arrivare a loro non è facile. Potrei fare altri 10 nomi interessanti, il problema però è riuscire a prenderli. Tutto lo staff tecnico sta facendo, inclusi io e il ds Monchi, un lavoro di analisi per valutare quali sono i giocatori che potrebbero integrarsi meglio al nostro gioco, ma alcuni potrebbero costare troppo».
A proposito di Juventus, questa stagione anche Milan e Inter si stanno rinforzando, secondo lei siamo avviati a una rinascita del calcio italiano?
«L’Italia ha sempre avuto un campionato molto competitivo, ha avuto momenti dove grandi squadre hanno rallentato, prima la Juventus, poi negli ultimi 2-3 anni abbiamo visto un Milan e un’Inter addormentate sugli allori, ora però grazie a una decisa iniezione economica sono di nuovo nelle condizioni di ritornare ai vertici».
Che Serie A si aspetta?
«Prevedo un campionato super competitivo, io da qui la vedo come una “liga” bellissima, molto attraente, molto esigente, perfetta per crescere, e per fare grandi cose, perché oltre alla grandezza della Juve e ai recuperi di Inter e Milan, ci sono squadre come la Roma che è già una grande, il Napoli che è un passo dall’esserlo, la Fiorentina che ha fatto passi avanti. Ovvero 5-6-7 squadre molto forti. Insieme alla Premier, alla Liga spagnola e a quella tedesca, la Serie A è tra i 4 campionati più importanti, ci saranno momenti in cui una è migliore delle altre, ma il calcio italiano, insieme alle altre tre, è il sogno di qualsiasi allenatore».
E proprio dall’Italia è arrivato il nuovo tecnico del Real Madrid, è vero, come ha detto il Cholo – forse gufando – che le merengues di Benitez sono il candidato nº1 per la vittoria in Liga?
«Credo che l’arrivo di Benitez a Madrid sia il giusto riconoscimento al lavoro che ha fatto in questi anni. Candidato a vincere la Liga, Benitez, lo è di sicuro perché allena il Madrid. Se non ci riuscirà è perché vincerà il Barcellona, però quando per vari anni non vinci la Liga nel Real è segno che qualcosa non va bene. Madrid e Barça sono le migliori al mondo, se a questo aggiungi un tecnico di successo, ci sono tutti gli ingredienti per vincere».
Mentre a Siviglia ogni estate almeno un campione se ne va, ma la coppia Emery-Monchi sorprende sempre, ha influito il direttore sportivo nella scelta di restare?
«Monchi conosce molto bene il mercato, siamo un top-club che però ha l’obbligo di rigenerarsi costantemente, perché i giocatori che fanno registrare una crescita esponenziale se ne vanno a squadre super-top che hanno un grande potere economico per attrarli. Però il lavoro che facciamo a Siviglia è importantissimo, è una crescita e una sfida costante per Monchi e per me. La nostra relazione è molto buona, ovviamente arriverà un giorno che da allenatore dovrò imboccare l’uscita, noi tecnici abbiamo una data di scadenza e un giorno o l’altro arriverà. Però adesso siamo molto uniti, e pieni di speranza per le belle sfide e i grandi obiettivi che ci aspettano».
Se Monchi ha un buon occhio, Emery ha una buona mano, visto che trasforma giocatori semi-sconosciuti, come Bacca o Rakitic, in veri e propri campioni, qual è il suo segreto?
«La chiave è lavorare giorno per giorno per migliorare. Io domani voglio essere più bravo di oggi, perché la mia maggior ambizione è l’evoluzione e il perfezionamento dei miei giocatori, questa è la mia più grande soddisfazione».