Addio cori di discriminazione territoriale. Benvenuti a Verona, dove al Bentegodi tornano i cori razzisti puri e semplici, come quelli di una volta che indignavano il mondo intero e che magari oggi non fanno più impressione a nessuno. Solo che in campo non c’è Maradona inseguito da Briegel e quegli azzurri sul terreno di gioco sono quasi tutti stranieri e di questa disputa non ne sanno nulla. Neppure l’hanno capito, dunque, quello striscione in ritardo di almeno 18 anni comparso nella curva dei tifosi dell’Hellas: «Napoletani figli di Giulietta». Tradotto: poiché Giulietta secondo altro striscione apparso in Curva del Napoli un bel po’ di anni fa era apostrofata come «’na zoccola», fate voi un po’ i conti. Parata e risposta. Questa sfida piena di amarcord ha perso però il senso di qualsiasi misura: vanno bene i ricordi e la rivalità, ma il clima è davvero da guerra civile. In tribuna stampa, per esempio, alcuni giornalisti napoletani sono stati oggetto di sputi e lancio di oggetti, con tanto di uscita sotto scorta e altre misure per evitare il peggio. Carlo Alvino, voce nota delle telecronache azzurre, ha dovuto persino interrompersi quando ha capito che, segnato il 3-0, il tifo (si fa per dire) veronese aveva deciso di sfogare su di lui la rabbia per l’andamento della partita. Insomma, il degrado del tifo e dell’Italia ci sono, e in questa domenica si vedono. Le macchine della polizia stazionano davanti all’albergo del Napoli non sono un omaggio alla squadra importante ma lo spettro di una paura che potrebbe concretizzarsi con assalti stupidi e urla isteriche. La tensione è alle stelle e il Napoli per questo motivo decide di tener ancor più segreto il luogo del suo ritiro. Verona è strapiena, come i suoi locali a Piazza Erba e lungo l’Adige. La sera prima, intorno allo stadio, il tifo gialloblù aveva iniziato a far capire in che clima si sarebbe svolto la sfida: persino il cardinale Sepe ha dovuto pagare il prezzo di aver – bonoriamente e simpaticamente – anticipato il risultato della partita: «Finirà 3-1», aveva detto il vescovo due giorni fa. Si è sbagliato di poco. Magari qualcuno degli ultrà veronesi questa notte se la sarà andata a prendere col povero San Zeno, a cui si era aggrappato per neutralizzare la preghiera di Crescenzio Sepe. A cui non è stato risparmiato anche altro: tra insulti e scritte becere, è scattata una vera a propria diatriba finale. Con una morale, sottolineata da altro murales: «Perché non prega per ripulire una città che è una fogna». Una mano di bianco per fortuna ha già fatto sparire tutto. Una decina, in totale, i graffiti anti-Napoli come «Questa non è una partita, è una questione d’odore», diceva una delle scritte cancellate a tempo di record. Ed è anche uno dei cori cantati allo stadio, un “evergreen” a voler insinuare che a Napoli nessuno si lava. Siamo di fronte all’opera di quattro imbecilli oppure queste scritte portano alla luce un’intolleranza che va ben oltre la rivalità calcistica? Eppure è una domenica troppo insolita per non essere importante. Vanno bene i precedenti, i sorrisini, le rivalità. Ma quando ci sono circa 700 poliziotti in assetto anti-sommossa, un elicottero con due telecamere, un intero quartiere in stato d’assedio dalle prime ore del mattino fino a tarda sera vuol dire che il limite è superato. I tifosi azzurri, al solito, non hanno brillato per compostezza. A ogni insulto, hanno evitato di porgere l’altra guancia. Per fortuna, non ci sono feriti. Ma al bar Nilla hanno atteso in duecento (forse anche di più) i supporter azzurri all’uscita dello stadio. Non succede null’altro. Ma la sera, l’aspetto ordinario e ordinato nega che ci sia un odio razzistico per napoletani, neri (ricordate l’accoglienza a Balotelli) o altro.
Fonte: Il Mattino
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