Enrico è lì, sorridente e felice, e in quegli occhi che scrutano il campo, manco un velo di malinconia, non un cenno di stizza: palloni che rotolano, con dentro la sorte, e lui, in carrozzella, non ha certo il tempo per arrabbiarsi. Enrico è pure a Dimaro, dopo esser stato a Reggio e a Livorno, a Pistoia e nei suoi giri di Walter per starsene con Mazzarri, il “suo” mister: e in quell’espressione lieve, distesa, c’è una traccia che ognuno di noi dovrebbe seguire. Enrico Spanarello ora ha ventinove anni ma quando ne aveva diciassette, prima che il fato gli ribaltasse l’esistenza, era uno di Walter, primavera del Bologna, quella di Niccolò Galli: «Che morì proprio sette giorni prima del mio incidente, povero». Enrico è qui, a dispensar serenità interiore, a tifare Napoli e a rivedere con il mister, così per gioco, le sue “folate a destra, alla Maggio”. Aveva un fisico bestiale e un carattere un po’ ribelle, ma s’era rimesso in riga, prima che andasse a sbattere pure lui contro la maledizione e far di Mazzarri, il suo allenatore, un uomo perso, demolito dentro, ad un passo dall’addio dal calcio: «Volevo lasciare: Niccolò ci aveva appena lasciati, Enrico rischiò la vita, i ragazzi piangevano, io non dormivo. Un giorno andai negli spogliatoi e dissi: lo dobbiamo a Niccolò, che ci osserva. E facciamolo per Enrico». Dodici anni dopo, lo fanno l’uno per l’altro, per volersi bene, per sentirsi meglio: ogni occasione è buona per starsene un poco assieme, per divagare con il professor Pondrelli ch’è l’uomo delle maglie con gli autografi. Enrico sperava di metterli anche lui un giorno, ma ora che ha smesso di sognare ha continuato ad amare.
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