Quarantatré anni di panchine. Mille e mille nomi e volti e fatti da raccontare. Renzo Ulivieri: un bel pezzo di storia del nostro pallone. Storia scritta e vissuta da protagonista, mai piegato alle logiche del conformismo e della convenienza. Una vita intensa e movimentata, insomma.
Ma dica, signor Renzo, non si fa fatica a tenere i ricordi in ordine e freschi nella mente quando sono così tanti?
«Beh, sì, l’ammetto. A volte ci riesco ed altre no. Che tormento e che figura quando arriva qualcuno e dice: che fai, non mi riconosci? Però non mi lamento. Va bene anche così».
E se le dico: Samp, stagione 1981-1982, che le torna in mente?
«Il ritorno in A. E anche la pubblicazione del calendario della stagione successiva. Ero in ritiro con la squadra sull’Amiata quando scoprii che la prima l’avrei giocata contro la Juve, la seconda contro l’Inter e la terza con la Roma. Ma come, mi dissi, ho faticato tanto per tornare in A e hanno deciso di farmi cacciare dopo tre giornate?»
Invece?
«Invece le vincemmo tutte e tre e dopo tre giornate eravamo primi. Il calcio è bello per questo».
Un passo avanti: Napoli, stagione 1998-1999.
«Di quella volta ricordo la sofferenza. La mia sofferenza. Quella che avevo dentro perché le cose non andavano affatto bene. E per di più non potevo scaricare la responsabilità su nessuno: quei calciatori che non funzionavano, infatti, li avevo scelti e voluti io. Che peccato: ci tenevo da morire a far bene a Napoli».
E oggi Napoli primo con la Juve e Samp al secondo posto. Che ne dice?
«Non mi sorprende. Il Napoli dopo la terribile esperienza del fallimento e della serie C ha saputo ricostruirsi come meglio non poteva. Ormai vederlo così in alto non fa meraviglia. E’ giusto. E’ meritato».
E la Samp?
«L’anomalia era vederla galleggiare tra la B e la A. Anche alle spalle della Samp, infatti, c’è una storia, una cultura. Finalmente pure lei si riappropria d’una più giusta dimensione. Insomma, mi fa piacere rivederla in alto».
Però, campionato strano, non le pare? Ma resterà così? Sarà una stagione di sorprese oppure no?
«Sorprese? No, non credo proprio. Ci potrà essere un po’ più d’equilibrio, questo sì, ma alla fine, come al solito, lo scudetto sarà affare per pochi».
Pochi quanti?
«Ho l’impressione che stavolta il numero possa ridursi a due. E quelle due squadre sono il Napoli e la Juve. Le vedo un passo avanti a chi pure ha grande nome e grande tradizione».
Con la Juve da battere e il Napoli anti-Juve?
«No. Con due squadre che quello scudetto se lo giocheranno alla pari».
Vuol dire che Mazzarri, sua vecchia e cara conoscenza, è pronto per regalare e regalarsi un grandissimo successo?
«Mazzarri un grandissimo successo, anche più grande di uno scudetto forse, l’ha già ottenuto. Quando? Quand’era alla Reggina. Quando ha salvato quella squadra nonostante un handicap di undici punti. Ma Walter è anche maturato: ha accresciuto la propria esperienza e credo che oggi non gli sia vietato alcun traguardo. Scudetto compreso, certo».
Dall’altra parte, domani, un vecchio amore azzurro: Ciro Ferrara.
«Mi sta piacendo molto pure lui. Aveva cominciato senza troppa esperienza su una panchina molto impegnativa e questo gli aveva procurato dei problemi. Poi, da persona seria e intelligente ha ricominciato, s’è rimesso in discussione. Il lavoro con l’Under 21 gli è servito molto. E’ cresciuto, è maturato pure lui ed ora sta facendo benissimo alla Samp».
A proposito di allenatori e quindi di tattiche, visto che trionfo per la difesa a tre? Ormai l’adotta mezza serie A. Lei che con il 3-4-3 moderno la rilanciò quasi vent’anni fa quanto orgoglio prova?
«Io non la rilanciai. Io di quella versione moderna del 3-4-3 rivendico la paternità. Vuol sapere la sua data di nascita? Tredici dicembre 1995. Dopo averla provata e riprovata in allenamento col Bologna, la proposi in campo contro il Milan in coppa Italia. Sa che cosa successe? Eliminammo i rossoneri e andammo noi in semifinale».
Però fu accusato di difensivismo.
«Accusa falsa. Perché più che assicurarsi una maggiore copertura centrale, l’idea era – così come è ancora oggi per chi si affida a questo disegno – quella di cominciare a palleggiare e quindi a manovrare con i difensori. E questo è tutt’altro che difensivismo».
Renzo Ulivieri: calciatore, poi allenatore, poi dirigente sportivo, assessore, politico, presidente dell’Associazione allenatori. E poi? Che cosa prevede il suo futuro?
«Beh, ho passato i settanta e quando si raggiunge una certa età si diventa un poco fatalisti. Se mi guardo alle spalle posso ritenermi fortunato; cosicché oggi, sapendo che da un momento all’altro qualcuno può bussarmi sulla spalla e dirmi di seguirlo, cerco di vivere bene e intensamente ogni giornata. Però ce l’ho una speranza: spero che dall’altra parte ci siano tanti campi di calcio e che possa ricominciare a fare l’allenatore».
Sì, ma, corna e bicorna, tra cento e ancora cento anni, caro signor Renzo.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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