«Eppure io dopo tre anni cominciavo ad agitarmi » . Renzo Ulivieri ora è il presidente dell’Associazione allenatori ma quando andava in panchina ha vissuto i “tormenti” di un calcio che “brucia” tutto in poco tempo.
Due anni Mazzarri, venti mesi Reja: i più “longevi” della serie A. Quali considerazioni le sollecita il confronto con uno come Ferguson che è allo United da 25 anni?
«La prima cosa che mi viene da pensare è che per reggere tanto tempo bisogna restare giovani cioè aggiornarsi, non bisogna pensare al calcio come a un mondo immutabile».
Giovani o non giovani, in Italia in panchina si staziona poco. Perché?
«E’ un vecchio andazzo. Quando le cose non vanno, si fanno subito le pulci al direttore dei lavori, cioè il tecnico. E in questa fretta si finisce per dimenticare che anche nel calcio serve pazienza, che vi sono dei tempi di apprendimento che non possono essere forzati».
Conta il risultato immediato.
«Esattamente: alla prospettiva non ci pensa nessuno».
Qualche segnale di ripensamento?
«L’ho intravisto nelle scelte della Roma. Lì c’è un ds come Sabatini che è stato calciatore ed è una persona serissima. Quando tutto sembrava tramare contro Luis Enrique, lui ha fatto scudo e così facendo ha rafforzato il tecnico consentendogli di lavorare con una certa tranquillità».
A volte la scelta del tecnico sembra ispirata dal caso.
«Io dico che o si crede in una soluzione o è meglio lasciar perdere. A volte, poi, i calciatori non sono quelli giusti per il sistema che il tecnico scelto adotta. Nei giornali c’è la riunione di redazione: ecco, bisognerebbe farle anche nelle squadre perché il confronto può essere risolutivo. Poi c’è un altro aspetto: gestire i calciatori oggi è molto più difficile».
Perché?
«Nella vostra professione, trent’anni fa il rapporto tra il giovane giornalista e la prima firma era di grande rispetto se non di sudditanza. Ora capita che un giovane arrivi in redazione e voglia spiegare a chi è lì da decenni come si fa. Son cambiati i tempi».
In Inghilterra, però, le cose vanno diversamente.
«Questione di cultura sportiva. In Premier se un arbitro inverte una punizione, il calciatore prende il pallone e riavvia il gioco senza perder tempo; da noi, invece… Anche se devo dire che le cose stanno cambiando: ad esempio, i “cascatori” sono scomparsi».
Serve la continuità tecnica?
«E’ sicuramente un valore positivo. Poi, però, dipende dai popoli. In Italia dopo tre, quattro anni ci annoiamo. Rispetto agli inglesi siamo più sentimentali ed emotivi».
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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