La doppia sfida al Real Madrid in Champions League e quella alla Juventus in Coppa Italia. C’è chi con la maglia azzurra, negli ultimi anni, le ha già vissute entrambe a livello primavera, come Gennaro Tutino. Ex talento del vivaio azzurro, ancora di proprietà del Napoli ed attualmente in prestito alla Carrarese in Lega Pro.
Gennaro Tutino è uno di quei talenti precoci che facevano sfracelli da ragazzini. Di quei talenti maledetti, che un po’ per sfortuna, un po’ per colpa propria, non sono subito riusciti però a raggiungere la propria consacrazione tra i professionisti. Il tempo è sicuramente dalla parte dell’attaccante classe ’96, che abbiamo contattato in esclusiva per una lunga ed interessante chiacchierata ai taccuini di Gonfialarete.com nel corso della quale abbiamo conosciuto un ragazzo determinato come non mai e che dei propri errori di gioventù ha imparato a far tesoro per diventare finalmente grande.
Innanzitutto sappiamo che in questo momento sei a Napoli, seguito dal Dottor De Nicola e dal Dottor De Luca, per recuperare dall’infortunio che ti ha fermato lo scorso 11 dicembre nel match contro la Lucchese. Come procede il tuo recupero?
“Ho avuto un infortunio molto raro, i medici mi hanno detto che si tratta di un infortunio rarissimo che colpisce un atleta su 50 mila… Si chiama lussazione di Lisfranc. Non è un infortunio grave, ma, colpendo il piede, è un infortunio molto fastidioso per chi fa il calciatore. Mancano circa due settimane al mio rientro in campo e questo lasso di tempo lo trascorrerò ancora a Napoli per buona parte, perché la società azzurra ha voluto così. Farò rientro a Carrara, se tutto va bene, prima della metà di febbraio“.
Ci racconti la tua giornata media, sulla via del recupero, in questo periodo che stai trascorrendo a Napoli?
“Innanzitutto, oltre ai medici del Napoli devo ringraziare due preparatori: il Professor Tommaso Bianco e Vittorio Nocerino, che mi stanno seguendo in questo recupero. Con loro faccio del lavoro in palestra sul potenziamento delle gambe e del tronco. Questo lavoro specifico mi permette di allenarmi e tenermi in forma anche in un momento in cui non posso ancora correre ed allenarmi sul campo. E’ un lavoro che mi consentirà, una volta guarito l’edema, di rientrare se non al top, quanto meno già a un 70-80% e quindi di non dovermi ritrovare a rifare la preparazione e perdere altro tempo. Ho scelto io di essere seguito da queste persone perchè sono veramente dei grandi professionisti del settore. Grazie a loro mi sento già molto bene ed ho fatto in questi giorni dei test fisici che hanno avuto esiti molto positivi. Ho anche una tabella di esercizi che eseguo quotidianamente a casa e che mi sono stati assegnati per rinforzare il piede e la caviglia, oltre a fare fisikinesio con il terapista. In più, tre volte a settimana, vado in piscina al pomeriggio”.
Come stava andando la stagione alla Carrarese prima dello sfortunato infortunio?
“La stagione è iniziata un po’ a rilento, anche a causa dei problemi societari. Poi fortunatamente il club è stato prelevato da una importante cordata di imprenditori carraresi, persone molto serie che sono riuscite a garantire un futuro alla società. Ci abbiamo messo un po’ ad ingranare, ma poi abbiamo iniziato a fare risultati e chiudere il girone di andata a 22 punti rappresentava per noi un buon bottino. Purtroppo, proprio dal mio infortunio in poi, abbiamo perso 4 partite di fila. Credo sia una coincidenza, non credo che da solo avrei cambiato chissà quanto le cose (sorride, ndr). Ciò che posso dire però è che voglio tornare quanto prima a stare con i miei compagni e dare un contributo alla mia squadra.
13 presenze e 2 gol in stagione di cui uno molto bello su calcio di punizione. Spesso le fanno battere a te, ed in più porti il numero 10 sulle spalle: c’è grande fiducia nei tuoi confronti…
“Assolutamente. Il Mister Danesi, così come tutta la società, mi ha sempre dato grande fiducia. Ad inizio stagione ho fatto un po’ di fatica ad inserirmi, ma soprattutto per colpa mia, essendomi presentato un po’ in ritardo dal punto di vista fisico. Poi ho finalmente capito che per fare il calciatore a certi livelli è necessario fare una vita sana, allenarsi al 100% e curarsi dal punto di vista dell’alimentazione. Da quando ho cominciato a fare tutto ciò il mister ha riconosciuto il mio impegno e mi ha dato la possibilità di mettermi in mostra. Non le ho giocate proprio tutte, ma comunque con 13 presenze e 2 gol in stagione si può dire che abbia giocato sufficientemente. A causa dell’ultimo infortunio ho poi saltato 4 partite e credo ne salterò purtroppo almeno un altro paio”.
Ora sei in Toscana, ma da quando sei uscito dal settore giovanile del Napoli non ti sei fatto mancare nulla, hai praticamente fatto il giro d’Italia: Vicenza, Gubbio, Avellino, Bari… Nord, centro e sud. Che difficoltà hai trovato anche dal punto di vista ambientale e delle abitudini nelle varie realtà e in quale ti sei trovato più a tuo agio, Carrarese a parte?
“Mi sono sempre trovato bene in ogni realtà, sia come squadra che come ambiente, qualità di vita e rapporti interpersonali. Dovessi però scegliere una pizza che maggiormente mi è rimasta nel cuore, direi certamente quella di Bari. A Bari mi sono trovato benissimo, è una città bellissima che vive di calcio, un po’ come lo è Napoli. La gente di lì è molto simile a noi napoletani e merita a livello calcistico altri palcoscenici per quello che i tifosi e la piazza rappresentano. Ho ancora tanti amici in Puglia tra ex compagni di squadra e altre persone che ho conosciuto lì”.
E sulle altre avventure?
“Su quella di Vicenza c’è poco da dire purtroppo. In quel maledetto 10 agosto, al debutto in Coppa Italia, mi sono rotto il ginocchio già alla prima partita. Ricordo tutto di quel giorno perchè rompersi il ginocchio a 18 anni, alla prima avventura lontano da casa, è un’esperienza forte, purtroppo non posso avere ricordi positivi. E’ stata molto dura. Non mi è mai piaciuto però parlare di sfortuna, mi sono sempre detto che non tutti i mali vengono per nuocere e quell’infortunio che mi ha tenuto fuori sei mesi mi ha reso più forte. Per quanto riguardaAvellino, se è successo quello che è successo è solo ed esclusivamente colpa mia. Attilio Tesser è un grandissimo allenatore ed io purtroppo l’ho capito soltanto dopo. Non è vero che abbiamo avuto dei litigi nello spogliatoio, come fu detto all’epoca, sono c*****e! Se non è andata bene in Irpinia, la responsabilità è tutta del sottoscritto. Sono stato stupido: non mi allenavo bene, ero in sovrappeso e fuori forma. Giuro che questa che vi sto raccontando è la sola ed unica verità”.
Ad Avellino andò a male al punto che venisti retrocesso nella formazione primavera allenata da Gennaro Iezzo ed il calendario ti fece un brutto scherzo: la partita dell’ex, a Sant’Antimo, contro il tuo Napoli ed i tuoi ex compagni…
“Fu una giornata molto strana. Soffrì molto nel giocare contro i miei ex compagni e soprattutto contro il Mister Giampaolo Saurini che io considero come un padre, a tutti gli effetti il mio secondo padre, una persona eccezionale, per come mi ha cresciuto e per tutto quello che mi ha insegnato. In tutta onestà, non sarebbe professionale dire che giocai quella gara a malincuore, ma sinceramente quella partita avrei voluto non giocarla. E’ stato veramente difficile giocare contro la squadra del mio cuore, seppur a livello di primavera, per giunta in un derby con la maglia di una formazione rivale come lo è l’Avellino. Fu veramente brutto per me… Non lo nego“.
Intervistato da Raffaele Auriemma il 31 dicembre scorso, Jacopo Dezi ha ammesso che lui addirittura pagherebbe per poter giocare nella doppia sfida contro il Real Madrid. Tu invece, contro il Real Madrid, possiamo dire che ci hai già giocato…
“Possiamo dire che ci ho già giocato? Tra virgolette, si (ride, ndr). Parliamo ovviamente della Youth League 2013/2014, la Champions delle formazioni primavera. Purtroppo a Madrid uscimmo al 94′.
Fu quella la tua più grande amarezza con la maglia del Napoli, o fu peggio la sconfitta contro la Juventus in finale di Coppa Italia Primavera l’anno prima?
“Sicuramente quella con la Juventus in Coppa Italia. Quella partita, a Napoli, non la potevamo, non la dovevamo perdere. Dopo aver perso quella finale ricordo di non aver dormito per due o forse addirittura tre notti, fu veramente brutto da digerire per un sedicenne, avendo tra l’altro segnato io all’andata a Torino il gol del pareggio che ci dava il vantaggio di partenza nella gara di ritorno. Vivemmo quella notte come se fosse una finale per lo scudetto. Giocavamo al San Paolo, contro la Juventus, dopo tutto quello che successe a Torino dove ce ne avevano dette di tutti i colori (anche cori razzisti, mentre in campo c’erano dei ragazzi minorenni, ndr). Fu una grande amarezza. Non nego fu brutta anche la sconfitta contro il Real Madrid, perchè comunque subimmo goal al 94′ su un incredibile tiro al volo da 30 metri. Fu brutto, ma permettetemi di ribadire che non c’è proprio paragone: la sconfitta con la Juventus ci fece molto più male. Quella partita, ripeto, non dovevamo perderla”.
A Madrid giocaste in quello che è uno dei centri sportivi più belli al mondo. Si parla spesso di come i ragazzi napoletani non abbiano la stessa fortuna di poter lavorare con strutture del genere e di come magari dalle nostre parti la gestione del settore giovanile non sia di primissima qualità…
“A me questa storia non convince. Il Napoli può contare su grandi competenze e ottime figure professionali anche a livello giovanile. Ci sono dei grandi allenatori, gente che capisce di calcio e che può farti crescere. E’ vero, forse non ci saranno grandissime strutture. Probabilmente è così. Ma io credo che se un ragazzo ha le qualità e la giusta fame di arrivare a raggiungere il suo obiettivo, giacchè siamo noi secondo me a scegliere il nostro destino ed a decidere chi e come diventare, non ci sono strutture, campi, palestre, piscine e altre componenti che tengano. Non sono le strutture a fare la differenza. Quello che voglio dire ai ragazzi delle giovanili del Napoli è di non darsi alibi di questo tipo. Qualora non dovessero farcela ad arrivare, non dovranno imputare la responsabilità alla mancanza di strutture di un certo livello, sarebbe una c*****a. Il successo si deve solamente a se stessi e alla propria forza di volontà.
Sul centro sportivo di Valdebebas poi c’è poco da dire: è un paradiso calcistico. Non riuscivo neanche a contare quanti campi ci fossero e poi il solo pensiero di quanti e quali campioni varcassero quotidianamente quei cancelli metteva i brividi.
Anche la maglia che indossavano i vostri avversari ha un certo fascino. Vi impressionò trovarvela di fronte?
“Fino a un certo punto. Andammo lì a giocarcela a testa altissima. Eravamo il Napoli, mica una squadra qualunque. Avevamo passato il turno in un girone con Arsenal, Borussia Dortmund e Marsiglia. Sapevamo di affrontare una delle cantere migliori al mondo, ma eravamo molto consapevoli di noi stessi, ci sentivamo forti e in fin dei conti di fronte non è che avessimo il vero Real Madrid dei campionissimi, ma 11 ragazzini, degli umani, proprio come noi”.
Hai partecipato a diversi ritiri della prima squadra. Il primo nel 2013, con Benitez, l’ultimo la scorsa estate, con Sarri. Come ti è sembrato cambiare il gruppo Napoli in questi anni?
“Innanzitutto c’è da dire che al primo ritiro non ero molto lucido: <<non capivo niente>>. A 17 anni trovarsi catapultati in quel contesto tra tanti campioni affermati e con un allenatore di fama mondiale come Benitez… Io ho sempre visto un gruppo unito sia prima che oggi, composto tutto da grandi professionisti, poi è chiaro che si creino dei gruppetti come prima era con i Sud Americani e poi con gli spagnoli, ma questo accade in tutti gli spogliatoi del mondo. L’esperienza del ritiro la farei vivere a tutti i giovani di quell’età perchè solo se osservi come lavora gente come Hamsik e Callejòn, solo per citarne due, che sono campioni fatti e finiti con dei conti in banca impressionanti e che già hanno dato tantissimo nelle rispettive carriere ma che nonostante ciò continuano a stare sempre sul pezzo, a lavorare al massimo stando attenti al minimo particolare, ti puoi rendere conto di cosa ci sia veramente dietro un campione. Cos’è che c’è alla base, e che veramente lo rende tale. E se noi ragazzi, soprattutto chi come me aveva un po’ la testa calda, a volte ci sentiamo già arrivati e ci mettiamo a fare i c******i senza aver ancora dimostrato nulla, solo frequentando da vicino questi campioni ci possiamo rendere conto che magari c’è qualcosa che non torna e che non funziona nel nostro atteggiamento e nel nostro modo di vedere le cose.
Dicevi dei Sud Americani… abbiamo trovato sui social questa foto con Zuniga e Armero. Dici che eri una testa calda e ti facevi consigliare dai migliori…
“Legai molto con loro perchè erano dei personaggi. Non fraintendetemi, sono anche loro dei grandi professionisti che si allenavano seriamente. Però mi trattavano in modo diverso dagli altri, che pure mi trattavano bene, a parte prendermi in giro per il taglio di capelli come fanno tutt’oggi. Ma in virtù della simpatia e la gioiosità dei due colombiani, con loro mi sentivo diversamente: li sentivo come fossero dei miei coetanei (ride, ndr) “.
Hai vissuto sia la Dimaro che accoglie Higuain, che la Dimaro che lo saluta… Non possiamo non chiederti se, da tifoso del Napoli, ci sei rimasto male per quello che è successo quest’estate: ti ha un po’ deluso?
“E’ normale rimanerci male. Higuain era un modello per me, come penso un po’ per tutti i ragazzi che tifano per il Napoli. Ha fatto 36 gol in una stagione di Serie A, è riuscito con la maglia del Napoli in ciò in cui nessun giocatore in Italia era mai riuscito. E’ lecito essere delusi ed amareggiati. Credo però che, come si dice, morto un papa se ne fa un altro. Il Napoli è una grande squadra, ha Milik che è tornato a disposizione e sicuramente può ambire a raggiungere traguardi importantissimi anche senza Gonzalo”.
Chi senti oggi dei tuoi ex compagni?
“Un po’ tutti, sono in contatto quotidiano con tanti ragazzi ed anche con quelli che sono fuori in prestito come ad esempio Jacopo Dezi (con cui ha giocato anche a Bari, ndr), ma soprattutto ho un grande rapporto con i miei ex compagni di primavera. Sento tutti i giorniLasicki e spesso anche Roberto Insigne, stanno crescendo tutti bene. Soprattutto Lupertosta facendo molto bene in Serie B giocando con continuità a Vercelli. Il suo segreto è esser stato da sempre un ragazzo serio ed aver avuto sempre una mentalità da professionista. E’ un ragazzo che ha grandissime qualità tecniche, ma soprattutto umane. Non mi meraviglia che stia facendo strada”.
Ci sembra chiaro che tu abbia la sensazione di aver buttato qualche anno per non essere stato un professionista esemplare, cosa che sei diventato adesso. Allora facciamo così: dove sarà il nuovo Gennaro Tutino tra 10 anni, e soprattutto, dove vorrebbe essere?
“Nel futuro prossimo c’è Carrara: voglio tornare quanto prima e dare una mano alla mia squadra attuale per conquistare una meritata salvezza. Dopodiché, lo sanno tutti, il mio sogno resta sempre giocare con il Napoli. Già solo pronunciarla questa frase mi mette i brividi. Il solo pensiero di calcare l’erba del San Paolo, con quella maglia indosso… è quello che sogno dal primo momento in cui ho toccato un pallone e resterà il mio sogno per sempre.
Ho firmato la scorsa estate un nuovo contratto con il Napoli fino al 2019, vedremo cosa accadrà. Il mio obiettivo adesso è ottenere il meglio da me stesso. Voglio che qualora non dovessi farcela a realizzare i miei sogni, dovrà essere stato perchè magari non avevo abbastanza talento per riuscirci. Ma non dovrà essere perchè non ce l’ho messa tutta. Non posso più permettermi rimpianti, ne ho già accumulati troppi per quanto sono giovane. Voglio che un giorno potrò guardarmi indietro pensando di aver dato tutto e non di aver sprecato le mie chance. Quella sarebbe la mia più grande sconfitta, non potrei perdonarmelo:voglio non dovermi rimproverare più nulla“.
Ultimissima curiosità: segui il Napoli anche attraverso Raffaele Auriemma?
“Non mi perdo mai per nessun motivo al mondo una puntata di Tiki-Taka!”
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