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Tuffo nel passato prossimo: la Napoli di Mazzarri

NAPOLI – Gli mancheranno il mare di Pozzuoli e i piatti a base di pesce che gli preparava l’amico Procolo al ristorante Europa. Ed anche quelle passeggiate dopo cena in assoluta solitudine lungo il molo dove sono attraccate le motonavi per Procida ed Ischia. O sul lungomare poco distante ben tenuto ed illuminato con luce fioca.

MUTO CON UN PESCE – Walter Mazzarri aveva creato il suo eremo lì, a pochi chilometri da Napoli, dove alloggiava quando fungeva da vice di Ulivieri e dove aveva iniziato la sua carriera di allenatore alla guida dell’Acireale, proprio contro la Puteolana (finì 1 a 1). Un posto caratteristico, ancora a misura d’uomo, noto per i suoi ristoranti, per la Solfatara e per aver dato i natali a Sofia Loren. I pescatori ormai erano entrati nel personaggio e se ne guardavano bene dal disturbarlo. Specie dopo qualche partita non andata proprio per il verso giusto, «Buon sera mistèr», con l’accento sulla «e». Sapevano che dietro quella nuvola di fumo, sprigionata dalla sigaretta slim, si accavallavano mille pensieri, tanti dubbi, un’infinità di tensioni. E soprattutto l’amico Procolo, che per tre estati si era presentato nel ritiro estivo di Dimaro con il portabagagli dell’auto pieno di pesce fresco e mitili, lo lasciava tranquillo al suo tavolo a consumare la cena. Se era Mazzarri a parlare per primo, bene. Altrimenti, pietanze a tavola e via. Lui da solo a riflettere, a pensare al lavoro del giorno dopo, a studiare quale rimedio escogitare per rialzarsi. Qualche volta gli faceva compagnia uno dei suoi collaboratori, Papale, Frustalupi, Pondrelli o Santoro. Spesso, nessuno.

COLAZIONE E FUGA- Abitava anche da solo. In una villa bene arredata, con camino, all’interno di un parco con piscina e poco lontana dal porto. La moglie ed il figlio Gabriele lasciati, invece, ad Empoli. Venivano di tanto in tanto o li raggiungeva lui al lunedì quando poteva. Lui preferiva rifugiarsi nella sua villa a visionare videocassette e studiare calcio. Qualche buona lettura per relax, qualche film ma tanto calcio, tattica, psicologia. Per Mazzarri è esistito solo il Napoli per quasi quattro anni. Napoli-città, invece, molto poco, quasi niente. Gli bastò uno dei primi giorni in centro, per rinunciarvi per sempre. «Una sola volta sono sceso in città. Avevo voglia di fare colazione sul Lungomare. Non feci in tempo a dare un morso alla brioche che venni circondato da decine di tifosi. Lasciai tutto sul tavolino del bar ed andai via», raccontò a febbraio del 2010. Successe in piazza Vittoria, la piazza che separa via Caracciolo e la villa comunale dalla centralissima piazza dei Martiri. Il Napoli, due giorni prima, era caduto a Udine dopo quindici risultati utili consecutivi e la domenica successiva avrebbe dovuto incontrare l’Inter in posticipo. «Mistèr, non è successo nulla, continui così», «Mistèr, battiamo l’Inter di Mourinho e riprendiamo la corsa», «Mistèr, un autografo, una foto». Scappò. Quel Napoli-Inter finì, poi, a reti bianche dopo una traversa di Hamsik, un palo di Quagliarella, una paratona di Julio Cesar su Denis mentre De Sanctis negò la gioia del gol a Pandev che era sull’altra sponda. Mourinho che guidava la classifica con ben otto punti sulla Roma mal digerì quel mezzo stop al San Paolo. E poi il Mazzarri a Castelvolturno: un panino tra un allenamento e l’altro, spogliatoi ristrutturati su sua indicazione e barriera prima con una rete e poi con plexiglas per impedire che guardassero i suoi allenamenti ed anticipassero la formazione. Un uono solo, sempre. E con un chiodo fisso: fare risultato ed arrivare più in alto possibile.

Fonte: Il Corriere dello Sport

 

 

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