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Tra ricordi e rimpianti, il ritorno di Reja al San Paolo

Dalla gara di Coppa Italia contro la Juventus all'incontro con il Benfica: quando parla il campo!

 

Un giro di campo, gli applausi dagli spalti, un passo reso incerto dall’emozione. Poi ci sarà la partita. Per novanta lunghissimi minuti i ricordi passeranno in secondo piano, la gratitudine no, quella mai. Rimarrà un segno indelebile di quel rapporto odio-amore, di quelle fantastiche stagioni e, perché no, anche di quel triste epilogo. Ci sarà, come chiesto dalle Curve, come sperato dal freddo Mister di Gorizia,  il giro di campo. Allora si che nella mente si rivivranno gioie e dolori, emozioni e delusioni. Allora si che Edoardo Reja potrà dare un finale diverso alla sua storia con il Napoli.

Già, un finale diverso. Perché la storia tra Reja e il Napoli non si poteva concludere con una telefonata alle 23.20 del 10 Marzo 2009. Perché sarebbe stato ingiusto aver terminato cinque splendidi anni, quelle centosessanta partite, con una fredda telefonata.

Partì tutto il 3 Gennaio del 2005. Il Napoli appena rifondato è costretto a districarsi tra le piccole realtà provinciale della C. Il precedente tecnico, Giampiero Ventura, paga gli scarsi risultati ottenuti fino a quel punto. Serve un allenatore capace di dare la scossa, di fornire la giusta grinta, la tenacia necessaria per portare a casa punti preziosi, anche dai fangosi terreni di Sora e Martina Franca. Allora bastò un semplice colloquio e tra Reja e De Laurentiis fu subito intesa. Con una squadra di giovani e svincolati il Mister riuscì ad ottenere l’accesso ai play-off. La sconfitta in finale contro l’Avellino non gli costò il posto. C’era un progetto e Reja ne era parte integrante. Arrivarono così nuovi giocatori, le colonne del “suo” Napoli, e l’anno successivo fu un trionfo.

Una cavalcata solitaria accompagnò gli azzurri verso la promozione. Ora con la grinta del Mister i campetti sterrati di Lanciano e Manfredonia non facevano più così paura. Il campionato fu dominato, la promozione agguantata. Era la Serie B, il secondo gradino del calcio che conta, a chiamarci.

Il campionato cadetto ebbe un prologo che difficilmente potrà essere cancellato. Coppa Italia, Napoli – Juve. Da un lato gli ex campioni di tutto, mandati in Serie B per aver creato lo scandalo Calciopoli, dall’altro il vecchio allenatore goriziano, alla guida di una squadra spedita a giocare all’inferno per irregolarità nei conti. Solo un pazzo poteva trovare il modo di vincere, solo un pazzo di nome Reja. Resterà indelebile la rovesciata di Paolo Cannavaro, allora solo fratello di Fabio, resterà indelebile l’emozione provata da un pubblico  che, anche grazia a Mister Reja, provò una gioia da tempo sconosciuta. Quella gara, che andò nella storia, finì 8-7 ai rigori. Arrivò poi il campionato, i primi problemi, le pressioni. Accusato di troppo difensivismo, incapace, secondo molti, di sfruttare al meglio le potenzialità dei giocatori, Reja rispondeva con i risultati. Vittorie con il minimo scarto, ma pur sempre vittorie. Bastava un gol di Calaiò o del Pampa Sosa, poi tutti dietro. Si sa, al pubblico e alla stampa non piacciono queste cose. E allora iniziano le polemiche. Bucchi, arrivato come grande goleador, perché non segna? Dalla Bona, regista formatosi nel Chelsea, perché non gioca? Non se ne curava, il vecchio Edy, preferiva far parlare il campo. Ed i risultati arrivarono. Nella Genova gemellata, sponda rossoblù si compì il finale che tutti sognavano. Napoli e Genoa, a braccetto, in Serie A. Forse in quel momento qualcuno cominciò a credere che il tecnico dei troppi pareggi non era poi così male. Che forse il vecchietto seduto su quella panchina sapesse il fatto suo.

Finalmente era Serie A, le sterili polemiche furono lasciate alle spalle. Arrivarono molti giocatori interessanti, gli allora semisconosciuti Gargano, Hamsik e Lavezzi, più qualche innesto di esperienza, voluto fortemente dall’allenatore, vedi Zalayeta. Le iniziali difficoltà vennero subito fugate da una brillante partenza. Reja aveva finalmente modellato il suo giocattolo. Ma si sa, la Serie A è altra cosa. Altre pressioni, altre responsabilità. Così capitava che, nonostante i buoni risultati, l’ambiente rimproverasse all’allenatore alcune scelte. Savini inadatto per la categoria, Calaiò in panchina. E cominciarono anche i primi screzi con la presidenza. In un Napoli–Lazio (i biancocelesti saranno nel destino di Reja) gli animi si scaldarono, un accesa litigata con il presidente fece pensare ad imminenti dimissioni. Poi rientrò tutto. Molti però pensavano che l’avventura sarebbe terminata a fine anno. Invece non fu così.

Una dopo l’altra quella stagione caddero tutte le grandi al cospetto del Napoli formato San Paolo. Solo la Roma riuscì a portare i tre punti via da Fuorigrotta, le altre, cominciando dalla Juve e finendo con l’imbattibile Inter, persero, inchinandosi ai 60mila di Fuorigrotta e al loro allenatore. A fine anno fu Intertoto, il che significava Europa dopo 14 anni. E se contro i vari Panionios e simili non fu difficile, non possiamo rimuovere dalla carrellata di ricordi l’incontro con il Benfica. Una doppia sfida amara per certi versi, con alcuni errori, ma semplicemente da ricordare. Da ricordare quando si pensa a Reja, perché è anche grazie a lui che potemmo giocarcela. Come andò a finire non è un mistero, eliminati. Ma quella partita ebbe un valore speciale, diventò l’emblema dell’uomo capace di portarci da Giulianova a Lisbona.

Il campionato cominciò benissimo, qualcuno parlò addirittura di Champions. Poi il giocattolo si ruppe. Nove partite senza vittorie, una serie infinita di polemiche.  In quei giorni tutti diventarono maestri del calcio, criticavano Reja. “Si fa così, non si gioca con la difesa a tre.” “Gioca Denis, no voglio Zalayeta” Tutti bravi a ricordarsi del Benfica, tutti bravi a dimenticarsi di Lanciano. Ed il mister sempre più solo. Fu un Napoli – Lazio a concludere questa storia, a portare a quella telefonata, a quell’esonero.

Fu un Napoli – Lazio a decretare la fine. Come già detto quello non fu un finale giusto, non se lo meritava. Così il destino ha dato l’opportunità di un altro Napoli – Lazio, quasi a voler ricominciare da dove (non) doveva essersi concluso tutto. Per scrivere un altro finale. Nessuna telefonate nella notte del 10 maggio 2009, nessun esonero. Solo un Mister, un giro di campo, 60mila mani che applaudono, e, forse, una piccola lacrima nel cuore di ogni napoletano.

Giancarlo Di Stadio

 

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