Si dissolvono tutte le perplessità di fronte a così tanta sicurezza. Un tecnico come Rafa Benitez, sempre sereno, sorridente, che sa il fatto suo, sa trasmettere quel senso di competenza applicata al calcio. Un vero incantatore con il suo eloquio forbito, sempre in italiano e con rari accenni iberici, quando la materia è troppo tecnica o la spiegazione completa è preferibile evitarla. Meno male che Rafa c’è, un coach di quelli che si fanno precedere dal palmares e che portano a spasso una valigia piena di trofei per poter dire: “Io so come si vince”. E sarà certamente un dettaglio trascurabilissimo se tra i suoi 11 prestigiosi trofei, soltanto con una squadra (il Valencia) ha appuntato sul petto la stella di campione nazionale, un episodio che risale ormai a 11 anni fa. Benitez re di Coppe europee? Magari lo sarà stato, fino ai confini di Napoli, perché qui con lui la sfortuna ha voluto che la Champions volasse via dopo le sei gare del girone e, addirittura quest’anno, nel play off di accesso. Però “in Rafa we trust”, bisogna fidarsi di Benitez, del suo patrimonio tattico che gli ha permesso di approdare a Napoli come un nuovo conquistador borbonico. In poco più di un anno ha smantellato la squadra che aveva conquistato una coppa Italia, un secondo e terzo posto, oltre a due qualificazioni in Champions, perché troppo proletaria rispetto alla sua raffinata idea di calcio. Qui nessuno mai l’ha contraddetto sulle operazioni di mercato svolte in prima battuta con il suo manager di fiducia, Manuel Quilon, ed ognuno dei rinforzi rientrava nel suo elenco di gradimento, che sia stato al primo, al secondo oppure al quinto posto dello stesso. La Rafa revolution ha portato a Napoli 15 acquisti negli ultimi due anni, per una spesa di 104 milioni complessivi, e la dismissione di gente che aveva dato lustro e personalità al Napoli: De Sanctis, Cannavaro, Behrami, Dzemaili e Pandev sono un pezzo di storia del Napoli recente che il club ha ceduto per la cifra irrisoria di 8 milioni.
TMW
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