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Thuram sui cori razzisti: “E’ violenza pura, basta col silenzio. Il calcio provi a risolvere questa situazione.

L'appello dell'ex difensore della Nazionale francese

L’edizione odierna del quotidiano “Il Mattino” ha intervistato l’ex difensore del Parma e della Nazionale francese Liliam Thuram per raccogliere le sue sensazioni in merito al triste fenomeno dei cori razzisti negli stadi:

Sulla sospensione delle partite in caso di cori razzisti: “Una premessa. È importante che ci sia una persona che dica che tutto questo non si può fare perché il vero problema è rappresentato da allenatori e giocatori che non dicono niente per paura di mettersi contro quei tifosi. Loro guardano e fanno finta di non vedere, manca la volontà di denunciare. Con un intervento come quello di Ancelotti si prende la direzione giusta. Se si interrompe una partita per cori razzisti o per insulti, il calcio si ferma a riflettere. Questo è un mondo professionistico basato sul business, dunque si può aprire una riflessione se c’è un intervento così forte contro un male che non è soltanto di questo settore ma della società. Il calcio provi a risolvere questa situazione: non la legittimi con il silenzio. È una questione culturale. Chi non è oggetto di atti di razzismo non si rende conto che questa è violenza pura ed ecco perché non dà peso a certi episodi. C’è una differenza tra il razzismo per le origini e per il colore della pelle. Nei confronti dei meridionali che si trasferivano al nord per lavoro vi era un profondo ostracismo negli anni 50 e 60: si arrivava a negare l’ingresso in un locale. Fuori dagli stadi, la società non fa differenza tra italiani e napoletani mentre ancora oggi c’è chi invece rifiuta la legittimità, lo status di italiano, a chi è nero. Io ho giocato tanti anni con Fabio Cannavaro, lo considero mio fratello. Quando ascoltavo i cori che facevano contro di lui negli stadi perché era napoletano, gli dicevo che non era giusto e che non si poteva far finta di niente di fronte a coloro che si sentivano superiori ad altri e ovviamente non lo erano”.

Sul razzismo oramai purtroppo radicato nella cultura del paese: “Mi sono chiesto: a quale punto può arrivare un paese? Non è soltanto un problema di colore della pelle e di origine. Io mi vergogno anche di un paese – può essere il mio o un altro – dove le donne vengono uccise dai mariti o le persone vivono tra i sacchi della spazzatura. Mi vergogno di vivere in una terra dove ci sono esseri umani che ne maltrattano altri, ma anche di vedere una balena morta su una spiaggia con la pancia piena di buste di plastica. Ma in quale mondo siamo? Nell’atteggiamento ostile verso chi arriva da altri paesi c’è qualcosa che dovrebbe far riflettere anzitutto chi governa. La violenza non è soltanto fisica, è anche quella di un governo che non vuole chi viene ritenuto inferiore. Il risultato è che si porta comunque violenza tra la gente, nel proprio territorio. Questa violenza rischia di diventare naturale ed è una trappola che gli uomini non vedono. Se respingi chi chiede aiuto, se lo lasci morire, pensi che il tuo paese salverà poi chi è in difficoltà? Soltanto se sei educato a comprendere i problemi degli altri potrai comprendere i tuoi. Bisogna aprire gli occhi perché è tutto collegato. È la grandi crisi economica che viviamo a far sì che la storia dei migranti sia sullo stesso piano di quella dei francesi, degli italiani, degli inglesi che faticano ad arrivare alla fine del mese. Ecco perché non ci si deve voltare dall’altra parte”

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