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Thiago Motta: “Conoscenza, gestione dello spogliatoio, rapporti umani. Ancelotti è il top. Quando s’arrabbia…”

"Tra gli allenatori che è ho avuto è stato il migliore"

Di Thiago Motta, prima ancora che smettesse di giocare, compagni e ex tecnici già dicevano “diventerà un grande allenatore”. Alla previsione risponde con un “grazie” accompagnato da un sorriso timido e sembra quasi schermirsi, ma è solo un’impressione perché invece Thiago Motta è estremamente sicuro di sé, di ciò che vuole fare e raggiungere. E sul campionato italiano dice: “La Juve non deve diventare una scusa per le altre: non vincerà per sempre. E credo che sarà l’Inter a interrompere questa monarchia”. A Parigi il vicedirettore della Gazzetta dello Sport Andrea Di Caro lo ha intervistato in esclusiva. Oggi allenatore dell’Under 19 del Psg, Motta ha parlato di quelli che ormai sono i suoi colleghi, della Champions con l’Inter e ha dato un parere sul campionato di Serie A, spaziando dalla “sua” Inter fino al fenomeno Cristiano Ronaldo.
Chi è oggi il tecnico migliore?
“Guardiola, è il re del gioco. Ma ammiro molto Zidane.”
Zizou è un grande leader o un grande tecnico?
“Entrambe le cose, altrimenti non vinceva tre Champions di fila.”
Tra i tecnici che lei ha avuto invece chi…
“Non la faccio neanche finire: Ancelotti è stato il top. Conoscenza del calcio impressionante, gestione perfetta dello spogliatoio, preparazione delle partite, psicologia e rapporti umani. Carlo è unico, si conquista il rispetto di tutti con la sua normalità”.
Come fu il vostro primo incontro al Psg?
“Arrivai direttamente dalla Pinetina al centro sportivo del Psg, vestito con quello che avevo: un paio di pantaloni con il cavallo basso, alla turca, che andavano di moda all’epoca. Carlo mi vede, e fa: “Hai firmato?” Io: “Sì mister”. E lui: “Allora adesso ce li hai i soldi per comprarti un paio di pantaloni decenti?”. Lui è sempre positivo, disponibile, sereno. Non pone barriere, sa far sentire tutti importanti. Quando mette uno fuori è il primo a essere dispiaciuto e pensa subito al suo recupero”.
Ma non si arrabbia mai?
“Di solito non ne ha bisogno, ma quando Carlo si incazza crollano i muri… Una volta contro l’Evian… No, non posso raccontarlo. Ma chieda a Ibra…”.
Ha già citato tre allenatori e ancora non ha nominato Mourinho. 
“Un vincente. Nel senso che lui in testa ha solo un obiettivo: vincere. Non gli interessa lo spettacolo. Mourinho ha due facce: una felice quando vince, una incazzata quando perde. Il suo umore cambia in base al risultato. Se hai giocato bene, ma hai perso, lui non riesce a trovarci niente di positivo. Mentre se vince giocando malissimo è felicissimo. La partita di Mourinho si gioca nelle due aree. La sua in cui devi morire pur di non far segnare l’avversario e quella avversaria in cui devi affondarlo. Il centrocampo è un fastidioso percorso tra due campi di battaglia. Se viene saltato, meglio: il tiqui taca non gli appartiene. Mou non cerca il bello, cerca un nemico, se non ce l’ha lo crea. Con l’Inter avevamo 11 punti di vantaggio in campionato, perdemmo una partita e ne pareggiammo un’altra. Il lunedì fece una conferenza, parlò 15 minuti di fila attaccando tutti: Galliani, il Milan, la Roma, gli arbitri, la Juve… Doveva ricaricare l’ambiente”.
Quanto fu difficile gestire quell’Inter piena di campioni?
“Lo sarebbe stato per molti, ma per lui fu facilissimo. Mou ama la gente di personalità e quell’Inter ne aveva in quantità industriale. “Se vado in guerra mi porto Lucio”, disse una volta. Aveva ragione. Quando vedevo Lucio al mattino capivo subito se era il caso di salutarlo o lasciarlo stare. Lui e Samuel in allenamento erano tranquilli, in partita diventavano due bestie feroci. Ma anche Cordoba non scherzava. Poi c’era Eto’o, un leader vero, Maicon con una personalità enorme, Sneijder che fu preso la sera prima del derby e il giorno dopo fu il migliore in campo”.
Si dice che la forza di Mou sia convincere i giocatori a morire per lui.
“Non è esattamente così. La forza di Josè è convincerti a morire per il tuo compagno e per la squadra, non per lui”.
L’Inter del Triplete è la squadra migliore in cui ha giocato?
“Era fortissima, poteva e doveva durare un paio di anni dopo il Triplete. Ma ce ne sono state altre. Giocare nel Barcellona a centrocampo con Xavi, Iniesta e Deco è stato un godimento. Ma io stravedevo per il Psg del 2016 con Blanc in panchina: con Ibra, Thiago Silva, Lavezzi, Cavani. Un gruppo di pazzi, una sporca dozzina. Fummo eliminati dal City, ma potevamo vincere la Champions”.
Neymar, Cavani, Mbappé formano il tridente più forte al mondo?
“Sulla carta sì, ma dipende da come si muovono e si integrano in campo. In certi momenti Manè, Firmino e Salah del Liverpool si capiscono talmente bene che non hanno nulla da invidiare a nessuno”.
Chi è la favorita per la Champions?
“Cinque squadre: il Barcellona, il Real di Solari, il City che è la squadra che gioca meglio, il Psg e poi la Juve di Ronaldo. In finale la Juve c’era già arrivata. Gli serviva il giocatore che le finali le decide e le fa vincere. Lo ha preso”.
Nessuna sorpresa?
“La Roma la scorsa stagione ha dimostrato che tutto può accadere. L’Inter può essere la valvola impazzita quest’anno. Nella doppia sfida molto dipende dagli infortuni, il momento, il sorteggio se ti dà una mano… Dai quarti fino alla finale: l’Inter non deve porsi limiti. Ma resta una sorpresa e non credo possa vincere”.
Neanche il campionato?
“No, non è ancora pronta. Ma la Juve non deve diventare una scusa per le altre: non vincerà per sempre. Nessuno lo fa. Smetterà. E credo che sarà l’Inter a interrompere questa monarchia”.
Faccia la sua prima richiesta da allenatore: Ronaldo o Messi? 
Cristiano è la tecnica applicata alla perfezione atletica, raggiunta con grandi sacrifici. Ronaldo è una macchina costruita per essere la migliore. Lui vuole essere il più forte, il più ricco, il più vincente. Ma io tra i due scelgo Messi. Mai visto uno come lui. Oggi molti dicono che passeggia tra le linee aspettando il momento. Non è vero. Lui lo crea il momento. Sa sempre dove stare, come e quando accelerare. Nessuno vince le partite da solo, ma Messi in forma può fare tre gol da solo. E allora è difficile che poi le perdi”.
Cosa deve fare Neymar per arrivare a livello di Messi e Ronaldo?
“Deve imparare a rinunciare a saltare ogni volta quattro uomini. Liberarsi prima del pallone per smarcarsi e ricevere l’ultimo passaggio. Non ha bisogno continuamente dell’uno contro uno. La grandezza di Messi oggi è che non dà più all’avversario il privilegio di toccarlo. Evita i falli e sfrutta al massimo ogni giocata. A Neymar dicevo sempre: dammi la palla, te la ridò evitandoti due dribbling e tante botte”.
Fonte: Gazzetta
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