La cappa che comprime il san Paolo, avvolgendolo in un’atmosfera surreale, è un involucro di mestizia e dolore e in quel vuoto in cui la testa galleggia, incontrollabile, c’è la tristissima consapevolezza ch’è vero, maledettamente vero, la vita continua, ma portandosi stavolta la morte nel cuore, scuotendo le coscienze e solcando le guance di lacrime. Il calcio è festa, partecipazione di massa con sessantamila tifosi, è delirio popolare, ma è spaccato dell’esistenza, briciole d’una quotidianità che va osservata e però anche vissuta lasciando che i sentimenti emergano seriamente, perché con le emozioni non si gioca e il dramma di Monteforte Irpino e quelle trentanove salme allineate – per le quali non c’è pace – meritano il rispetto d’un minuto di raccoglimento che stavolta si sviluppa in un minuto di reale silenzio. Pozzuoli è lì, appena oltre il cono visivo, poc’oltre la muraglia dei palazzi, un soffio appena da quel teatro d’una felicità strozzata prim’ancora d’essere realmente percepita, e non può esserci né sfarzo né allegria in quel clima scatenato da una tragedia enorme, inaccettabile e però da affrontare. Fuorigrotta è praticamente la porta che conduce sul litorale flegreo, è l’anticamera nel quale il lutto collettivo è un comune sentire e va vissuto non soltanto attraverso il minuto di silenzio e con la fascia nera al braccio delle due squadre e dei tecnici ma rimuovendo la struttura di uno show in stile hollywoodiano. Perché è impossibile farsene una ragione dinnanzi ad un dramma e non c’è voglia, né posto, per divagare: né cheerleaders, né fuochi d’artificio. Perché è giusto – è stato giusto – modificare lo spartito: ieri sera la vita non poteva continuare allo stesso modo.
Fonte: Corriere dello sport
La redazione
F.G.
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