Senza svenarsi come tante big in passato, per poi fare dietro front verso una logica societaria realmente commerciale. La stessa che De Laurentiis ha adottato nel 2004 e che oggi gli permette di avere una squadra capace di vincere e i conti a posto come solo il Bayern può vantare in Europa. Se non son sceicchi inclini al “tutto e subito”, ormai nessuno piú rovina i propri conti per acquistare i top player. Club come Real, Barcellona, Manchester United e Chelsea ne prendeno uno al massimo, per poi puntare a giovani di valore che possono crescere all’interno di un gruppo consolidato e vincente. Ed è lo stesso principio del Napoli: dopo aver fatto diventare grandi i vari Hamsik, Lavezzi e Cavani, oggi punta a ripetere l’operazione con Insigne, Vargas ed El Kaddouri. I top player bisogna costruirli in casa, come il Barcellona e la sua rinomata cantera diventata tale col tempo e la pazienza. Due qualità che non sempre fanno sfoggio nel tifoso napoletano. Tutto questo porta un nome: programmazione. Che vuol dire difendere il progetto quando il vento della critica spira contro squadra e società. Nemo profeta in patria, si dice. Ed è cosí anche con il Napoli capace di costringere il Palazzo del calcio a cambiare le sue regole, grazie ad una lungimiranza che potrebbe diventare scuola. E un giorno neanche tanto lontano, non desterebbe meraviglia se pure l’organigramma dirigenziale venisse imitato da altre società. Una struttura agile, altamente operativa e che da quest’anno rinuncia ad una figura un tempo cardine nei team di calcio: il Napoli non ha piú il direttore generale. C’è il presidente operativo, De Laurentiis con al suo fianco l’amministratore delegato Chiavelli e poi quattro maxi aree operative: il settore tecnico a Bigon, quello commerciale a Formisano, l’area amministrativa a Saracino e quella della comunicazione a Lombardo. Tutti per uno, per “quella cosa lì”.
Fonte: Il Corriere del Mezzogiorno
La Redazione
M.V.
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