«Tavecchio, Albertini, prendete atto e ritiratevi» . Siamo alla resa dei conti e a un fatto probabilmente storico: a quattro giorni dall’elezione del nuovo presidente federale, nove società di serie A firmano un documento congiunto nel quale rendono più forte e più pubblica la scelta di non appoggiare Tavecchio. Non solo, completano quella scelta e spiegano come anche l’altro candidato, Albertini, non sia ritenuto idoneo. Portando verso una sola soluzione: il commissario, quella che il nostro giornale ha indicato, proposto, sin dal primo giorno delle dimissioni di Abete. Il comunicato di Roma, Juventus, Fiorentina, Empoli, Torino, Cagliari, Cesena, Sampdoria e Sassuolo, spacca in due il fronte della A. I dissidenti rispetto alla candidatura Tavecchio si sentono certi del fatto che, nonostante siano 9 le firme del documento, Palermo e Verona non voteranno e lo stesso alla fine potrebbe fare l’Atalanta.
Ricadute. E’ chiaro, a Milano pare che il conto aritmetico stringente lo abbia fatto proprio Claudio Lotito, che 9 società di calcio pesino “poco”, il 5,4 per cento, ma quello che l’ottimismo del fronte Tavecchio non considera è che la manovra avvolgente dei suoi grandi elettori induce i dissidenti a tenersi coperti e a scegliere magari il giorno del voto, nel segreto dell’urna per esprimere un dissenso. Anche solo per riflettere in pace. E allora, una Lega di A spaccata in un governo del calcio che si insedia ha un significato politico che non si può trascurare. Non si deve trascurare. Soprattutto perché poi il Governo del Paese ha mandato i segnali che ha mandato, il Coni ne ha mandati altri, altrettanto inequivocabili: tutto esterno al regno federale, ma tutto inevitabilmente “dentro”. E governare con il 50 e 1 per cento farebbe perdere tanta forza al presidente. Con una ipotesi che molti danno per certa. L’immediata richiesta del Coni di riformare lo statuto, l’assenza del 75 per cento in consiglio per farlo, e quindi il commissario ad acta sullo statuto dietro l’angolo.
E’ chiaro anche, e va detto con la stessa onestà intellettuale, che in questa perdita di pezzi che il mondo Tavecchio lascia alle sue spalle, Demetrio Albertini salga di poco, troppo poco per poter governare. Oggettivamente i suoi numeri sono ancora molto assottigliati rispetto all’avversario. Forse perché i toni scelti dall’ex vice presidente federale sono soft, anche di fronte alla domanda di chi lo osteggia. «Ma dove è stato in questi otto anni?» .
Sprofondi. In tutto questo, il sistema sembra stritolato in una di quelle figurette all’italiana poco edificanti. In cui le promesse e i soldi fanno sempre la parte del leone. La storia della promessa ai club di B del 7,5 per cento sul totale del 10 per cento dei diritti tv che la Legge Melandri affida ai club minori (75 milioni), basa su piedi di argilla: con una Lega di A così spaccata quella proposta-promessa che di lì deve passare, troverebbe nella sostanza un Lotito indebolito con il suo schieramento per poterla mantenere. E che dire del fatto che con una delibera, sempre in Lega, siano già stati anticipati ai club il 5% dei diritti tv 2015-2016? Sì, avete letto bene. Con un anno di anticipo: mostrando debolezza strutturale di sistema.
Il comunicato delle 9 sorelle, in questo quadro, diventa un barlume di lucidità a cui attaccarsi. Al di là dell’artimentica, che in questa storia conta, ma non conta più molto. Chiunque vanterà una maggioranza lunedì (e Tavecchio, numeri alla mano, ha più chance di Albertini) governerà senza interlocutori. Ma Albertini doveva candidarsi, anche per dimostrare al mondo che lo sostiene (giocatori, allenatori e qualche club) che esisteva una alternativa democratica a Tavecchio. Se però conta il futuro del calcio e conta il fatto che qualcuno abbia gli strumenti appuntiti per scriverlo, cambiandolo, allora il calcio rifletta. E in quattro giorni faccia quello scatto d’orgoglio che la gente si aspetta. Già, perché il calcio è della gente.
fonte: corriere dello sport
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