Una lunghissima intervista tra retroscena e storie passate o attuali. Igli Tare, alla vigilia dell’importante sfida con la Juventus, ha raccontato i suoi dieci anni da direttore sportivo della Lazio: dalla prima chiacchierata con Lotito fino alla stagione in corso. Un lungo cammino che con determinazione l’ha portato a costruire una squadra vincente, la più forte dell’era Lotito. Merito di una forte ossessione, quella che in occasione della sfida Champions con il Napoli poteva addirittura costargli la vita: “Nove giorni in terapia intensiva, più di là che di qua, ma me l’ero cercata: chiari sintomi di stress a livelli di guardia e andai con la squadra a Napoli nonostante me l’avessero vietato. Lì ho capito che c’è qualcosa di più importante del calcio”, riporta la rassegna stampa di Radiosei. Alla Lazio una chiara missione: “Convincere i tifosi del progetto, fare della Lazio un punto d’arrivo e non di partenza. Vincere qualcosa che ancora ci manca”. Nell’immediato futuro l’obiettivo però si chiama Juventus: “Il loro potere lo avverti, come oggi per il controllo del mercato italiano. La vittoria all’andata è stata la più importante: ci temevano e capimmo di essere forti. Inzaghi a Torino? Devono ancora succedere cose e passare un paio di anni”. Chi non si vestirà di bianconero è Stefan de Vrij: “La percentuale dell’agenzia non c’entra nulla, comunque non andrà alla Juve”.
“Questa è la Lazio 2008-2009, che ne pensi?” “Presidente, io faccio il calciatore, perché lo chiede a me?” “Perché penso a questa scommessa da due anni e ora ti voglio ds di questa squadra. Hai due giorni per rifletterci”. E pensare che, quel giorno, nell’ufficio di Lotito, Igli Tare era andato per firmare un rinnovo come giocatore biancoceleste. Quasi dieci anni più tardi, il racconto ai microfoni de La Gazzetta dello Sport: “Parlavo sei lingue, conoscevo il calcio estero ed ero fuori dall’ambiente romano; Lotito disse di avermi scelto per questo motivo. Incomprensioni? Tante, specialmente all’inizio. Eppure, per un dirigente come per un allenatore, è il presidente ideale. Non oltrepassa mai un certo limite…”. Da allora, Tare ha piazzato tanti colpi che hanno fatto la fortuna della Lazio. L’ultimo gioiellino si chiama Milinkovic-Savic: “Per capire dove può arrivare un giocatore, non lo devi solo vedere in campo, serve conoscerlo personalmente. Sergej era al Vojvodina, ma all’epoca non gli saremmo riusciti a garantire continuità in campo. Si trasferì al Genk e continuammo a seguirlo. E alla fine…”. Lotito, forse, aveva ragione. Tare era l’uomo giusto per fare il ds della Lazio. Eppure un cambio di ruolo… “Da calciatore non sapevo se, una volta smesso con il calcio giocato, avrei preferito allenare o svolgere un ruolo dirigenziale. Ora che sono dirigente, non nascondo che un giorno mi piacerebbe sedere in panchina, ma lo farei solo per l’Albania. Anche ora, vivo lo spogliatoio e mi confronto con Inzaghi, sempre rispettando e senza intralciare il suo lavoro. Via dalla Lazio? Mi hanno avvicinato diversi club, ma ormai i biancocelesti li ho nel cuore”.
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