Per chi è cresciuto assistendo all’inesorabilità di Morini, Causio e Anastasi, alla vittoria cucita sulla maglia di Scirea, Tardelli e Cabrini, è difficile capire la juventinità di Antonio Conte. Per i bianconeri storici la vittoria era il naturale sviluppo delle cose, per l’attuale tecnico bianconero è qualcosa di disperato.
Eppure lo juventino che conosciamo noi vince sorridendo, non con il sangue agli occhi. Non si può imprecare su una panchina così prestigiosa, con qualche moccolo e con gli occhi rossi, per un gol sbagliato. E non salti fuori il paragone con Mourinho. Il portoghese era un cecchino, il buon Conte talvolta spara a salve. Ogni gesto di Mourinho in panchina era mirato, manette o altre amenità che fossero, l’occhio era lucido, il sopracciglio inarcato. Ogni gesto doveva provocare un effetto chiaro, netto, preciso. Quello di Conte appare quello che nelle scuole medie viene chiamato “casino”. A Milano, in particolare, visto che il tecnico bianconero deve giocare qui oggi, si dice cunfusion, un rebelot. Dopo Juventus-Fiorentina, l’apice. Al di là dei mancati amici fra i media (caro Conte, scelga di seguire 24 ore su 24 una tv e scoprirà che se il Milan primo in classifica pareggia in trasferta rallenta in maniera preoccupante, mentre se la sua Juventus prima in classifica pareggia a Verona è sempre prima…), è stato il riferimento ai tifosi la vera perla. Non è possibile, dice Conte, che dopo il pareggio della Fiorentina i tifosi dello Juventus Stadium smettano di fare il tifo e facciano come se fossero a teatro. Insomma, lo sappiano i forzati dello stadio bianconero. Per 90 minuti non possono mangiare il popcorn, né dare un bacetto alla fidanzata. Urlare, urlare e ancora urlare. La Juventus si ama e si urla. Una sola pausa dai lavori forzati, l’intervallo, e basta. Ma solo per ricaricare l’ugola. E’ la filosofia della bolgia. Che non va in trasferta (la Juventus ad oggi ha fatto 11 punti in casa e 5 fuori casa) e che come tutte le forzature non ci mette molto tempo a rivelarsi un arma a doppio taglio.
Ipotizzare che Marco Branca, apprezzato responsabile dell’area tecnica dell’Inter, faccia una intervista senza parlare del Milan, è impensabile. Anche se l’intervistatore non glielo chiede, lui il Milan di mezzo ce lo mette, sicuro come poche altre cose della vita. Avrebbe potuto giocarsi la chance di parlare del Club rossonero, come ha fatto sulle colonne del quotidiano “Libero”, ricordando magari le sue stesse ironie riservate ad Adriano Galliani quando l’amministratore delegato del Milan nel 2007 e nel 2008 parlava di bilanci e di contenimento dei costi. Non è stato così, Marco Branca si appropria dei discorsi sull’auto-finanziamento, sul divario fra il calcio italiano e il resto dell’Europa, sul low cost, come se fosse il primo a farli e ad applicarli. Non contento, riserva la sua stilettata agli ingaggi multimilionari e pluriennali di Taiwo e Mexes. La rivalità è una brutta bestia, lo sappiamo fin troppo bene, ci sta tutto. Ma su alcune questioni è corretto rimettere alcune cose a posto. Se parliamo di emolumenti ai giocatori, il venir meno degli ingaggi di Pirlo e Jankulovski (circa 10 milioni) e il risparmio sui rinnovi annuali dei senatori rossoneri (circa 5 milioni) finanzia gli ingaggi di quest’anno di tutti i nuovi acquisti del Milan estate 2011, Mexes e Taiwo compresi ma non solo loro. Sui prossimi anni, perché anche i contratti che concorda e stipula Marco Branca per i nuovi giocatori nerazzurri sono pluriennali, non è possibile fare altrimenti, produrranno risparmio gli scalini verso il basso dei prossimi contratti rossoneri, fra quelli che andranno a scadere e quelli in scadenza che verranno adeguati al ribasso. Se poi si vuole accusare il Milan che acquista i due cartellini di Aquilani e Nocerino (insieme hanno già segnato 5 gol in Campionato) con un esborso complessivo di 6.5 milioni contro i 12 di Alvarez, Branca è liberissimo di farlo. Però non può non tener presente che i ricavi della cessione di Eto’o, l’unico vero grande evento (molto più degli arbitri) che sta determinando la pessima classifica dell’Inter 2011-2012, andassero spesi meglio. Molto meglio. E sul fatto che Eto’o si sia ambientato solo a Febbraio 2010, beh, non è così: a tutto il 31 Ottobre 2009, stesso periodo ad oggi, il fuoriclasse del Camerun aveva già segnato 5 gol pesanti in Campionato. Li avesse oggi l’Inter quei gol a sua disposizione…Per cui se i vari Castaignos, Jonathan, Alvarez, Poli e Forlan non hanno fatto mirabilie fino ad oggi, non è perché si debba aspettare la data taumaturgica del Febbraio 2012 per vederli volare come Eto’o: più semplicemente non stanno facendo bene, stanno deludendo e, visti fino ad oggi, è ben difficile immaginare che possano spiccare il volo verso la gloria nei prossimi mesi della stagione.
Se due uomini di calcio come Massimiliano Allegri e Walter Mazzarri arrivano a detestarsi così, la colpa non può essere solo di uno dei due. Come sempre, nelle cose della vita e delle persone, c’è una parte di responsabilità da parte di entrambi. Ma tutti, tifosi napoletani compresi, non possono non riconoscere che, se fosse stato Mazzarri alle prese con una intervista, con Allegri in posizione di attesa, il tecnico del Milan non avrebbe fatto nessuna fatica ad attendere il suo turno. Il buon Walter, invece, non ce l’ha fatta. La voce di Allegri, quella del nominato fra i primi 10 per il Pallone d’oro degli allenatori mentre a lui è toccato l’affronto di essere fra i primi 50, lo ha fatto scattare. Via l’auricolare, via di qui, non so dove ma via. Eppure il Napoli aveva appena battuto 2-0 l’Udinese. Le rivincite, le riscosse, dopo due pareggi e una sconfitta, è bello goderseli parlando, comunicando, stando in diretta. Oppure il Napoli ha vinto così tanto nella gestione Mazzarri che deve vivere di rendita rispetto alle critiche per le tante coppe e i tanti trofei messi in bacheca dall’Ottobre 2009 ad oggi? E’ vero che si deve fare tanta fatica ad essere Mazzarri, reggere un personaggio come il suo non è semplice. Ma un po’ di serenità e di sorrisi veri, non forzati, non guasterebbero. Soprattutto per appianare qualche episodio passato di scarso rilievo e per non far mancare il giusto servizio agli abbonati Sky, fra i quali tanti tifosi napoletani.
Nell’estate del 2010 il Milan ha pungolato a tutto tondo Ronaldinho. Dai dirigenti all’allenatore, da Gattuso a Seedorf. Tutti a dire che Ronaldinho doveva allenarsi di più e meglio. Non è andata bene. La voglia vera di dare l’anima in allenamento, nella sua testa e nelle sue corde, Dinho non l’ha più trovata e oggi non è più in rossonero. Succede, nessuno è infallibile, nemmeno il Milan. Con Antonio Cassano è successa la stessa cosa, ma con un finale nettamente diverso. Quest’estate il Milan, che i suoi casi li affronta facendo le dichiarazioni in pubblico e senza coprirli, ha parlato di peso (Adriano Galliani), di gerarchie che vedevano Antonio partire dal fondo (Massimiliano Allegri), di capacità di mettersi in discussione tutti i giorni (Se non lo fa con il talento che ha, mi fa arrabbiare, cit.Rino Gattuso). In questo caso è andata bene. Ieri Allegri, che non fa mai concessioni ai suoi giocatori per compiacerli, ha detto che Antonio Cassano sta facendo la miglior stagione della sua carriera. Una grande vittoria per il Milan. Certo, per il Milan. Qualcuno pensa che il merito sia stato solo di Prandelli? Sbaglia. Ha fatto il suo ed è stato molto importante anche il C.t. azzurro. Teniamo conto però del fatto che il Ct azzurro uno più bravo di Cassano nella sua rosa non ce l’ha e coccolando la sua migliore risorsa offensiva ha fatto quello che doveva. Massimiliano Allegri che di bravi come Antonio invece in rosa ne aveva e ne ha, si è ritrovato nella condizione naturale di scegliere di metterlo in competizione.. E dal momento che imporsi in rossonero per lui era più difficile che imporsi in Nazionale, Antonio la partita più importante l’ha vinta a Milanello. Con il contributo di Prandelli e con la buona fede, senza pregiudizi, come si è visto sul campo, di Allegri.
La Redazione
C.T.
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