Abbiamo sciacquato la tastiera, prima di cominciare. Non si sa mai. Ci guardiamo bene dal definire provinciale l’Inter di Torino, ma magari ci sono altri concetti che non si possono esprimere sull’Inter abituata all’Oscar dei nuovi e su Stramaccioni, e allora è meglio premunirsi prima di beccarsi la scomunica. Allora, caro Stramaccioni. L’Inter di Torino, tanto per cominciare, non è stata provinciale, ma cinica e di personalità. Di qui ad elencare tutte le meraviglie stilistiche su Torino-Inter fatte nel pre-partita di Europa League, però, ne corre. Tutto lo spettacolo offensivo raccontato mercoledì ad Appiano Gentile sulla partita di domenica sera a Torino è illusionismo allo stato puro. Vincere dimostrando solidità e sicurezza è un conto, pretendere di trasformare questa dote in calcio-spettacolo no, non è giusto che passi. Andiamo avanti. Dopo la sconfitta con l’Hajduk e il pareggio con il Vaslui, Stramaccioni aveva sentenziato che erano state partite di ritorno prese sotto gamba dopo la vittoria dell’andata. A quella stregua, Inter-Rubin Kazan (prima gara del Girone, assimilabile ad una partita d’andata) doveva essere vinta e anche bene. E invece no è stata pareggiata con affanno, ma dal momento che i giornali e le tv erano impegnate con l’affaire Allegri-Inzaghi, Strama l’ha sfangata anche stavolta. Era già successo dopo Inter-Roma 1-3. Riscriviamo il risultato dopo aver sciacquato la tastiera sia perché non rimanga un’illusione ottica sia perché ad oggi la Roma, in Italia, ha battuto una sola squadra: l’Inter. Non il Catania (2-2), non il Bologna (2-3), ma l’Inter (3-1). Era già successo dopo Inter-Roma 1-3 di trascorrere due settimane abbottonati e coperti grazie dall’appassionante dibattito sugli infortunati del Milan (a proposito, Palacio?) e sulla cena di Forte dei Marmi fra Galliani e Allegri. Caro Stramaccioni, occhio. Prima o poi, è destino nei media, i casini sul Milan finiranno e a qualcuno verrà in mente di venire a vedere sul serio come gioca e come si difende l’Inter. E non vorremmo che fosse proprio quello il momento in cui sembrerà di ascoltare la canzone di Jovanotti: “Dimmi che non è, dimmi che non è tutta un’illusione”…
Che Allegri pensasse da tempo che Inzaghi, a 39 anni, dovesse smettere, è cosa che è stata intuita da molti. Ma non da uno, da lui, dall’interessato, da Pippo Inzaghi stesso. Lui non ha intuito, lui se lo è sentito dire. A torto o a ragione, ma è così. Concetto difficile da digerire per un orgoglioso straordinario come Superpippo, ma mai nascosto all’interessato. Lo pensavano anche i suoi compagni, ma si sa, le grane spettano all’allenatore. E il tecnico glielo disse, ben chiaro e senza offesa. Senza nessuna pretesa di fare la guerra alla vecchia guardia. Tanto è vero che Allegri aveva scelto di tenere nel Milan di quest’anno, nel Milan 2012-2013, gli stessi Gattuso e Nesta. Anche questo detto e comunicato agli interessati, con stima e convinzione. Ma Rino ha probabilmente ingigantito una sostituzione con Flamini in campo al suo posto in Milan-Atalanta del 2 Maggio scorso e ha finito per addebitarne la responsabilità all’allenatore, bersaglio forse più morbido di altri. In realtà Allegri, anche a Rino, non aveva mai promesso di giocare tutte le partite, ma di tenersi a disposizione sempre pronto. Esattamente come era accaduto dall’estate 2010 in poi quando Rino, dopo il Sudafrica, pensava di lasciare il Milan e invece trovò i tempi giusti con l’allora nuovo allenatore fino a vincere insieme lo Scudetto. E per quanto riguarda Nesta, Allegri lo ha scongiurato di rimanere ma la risposta di Sandro è stata chiara e netta: Mister, in questo calcio, con il mio fisico e con questa pressione, io non ce la faccio più. Così stanno le cose, dette e affrontate. Senza mai rinnegare il dialogo con nessuno.
Arturo Vidal ha riportato d’attualità in Chelsea-Juventus, il gol dello zoppo. Diventata famosissima grazie ad Angelo Schiavio nella Finale mondiale del 1934 vinta dall’Italia contro la Cecoslovacchia, la specialità è stata rispolverata in diretta tv e a colori allo Stamford Bridge. E in casa rossonera la prodezza non è passata inosservata. Un calciatore che prende un pestone, stringe i denti e segna, dimostra soprattutto una cosa: di avere tanta ma tanta fame. Vidal è arrivato alla Juventus un anno dopo il passaggio al Milan di Kevin Prince Boateng. Entrambi esplosivi, entrambi atipici, entrambi mine vaganti. Vidal oggi è tale e quale il giocatore approdato in bianconero tredici mesi fa. Boateng invece è cambiato: come ruolo e come personaggio. Il paragone deve servire da stimolo a Boateng. C’è un certo Vidal, umile, esplosivo e affamato, che ha messo la freccia. Bisogna rispondergli. Bene, subito, forte e chiaro.
Complimenti al Napoli e complimenti a Edu Vargas. Il cileno è il simbolo della schizofrenia del nostro calcio. Arrivato in Italia nel Gennaio 2012, aveva steccato le prime partite, non era riuscito ad ambientarsi ed era stato bocciato, tritato, bollato come finito. Il solito campionario di un calcio che non conosce appelli e riscosse. Lo stesso calcio che dopo il settimo posto del 2010-2011 aveva degradato Barzagli, Pepe e Marchisio, scaricandoli nel carrello dei bolliti. E come gli juventini oggi sono sulla cresta dell’onda, anche Edu Vargas si gode la gran tripletta in Europa League. Investimento a questo punto azzeccato, Edu Vargas ha trovato spazio grazie al fatto che il Napoli fa in Europa League quel turn-over che non avrebbe mai fatto in Champions League, e che con la partenza di Lavezzi c’è obiettivamente un po’ di spazio in più. Questo per dire che i giocatori devono essere valutati quando vengono proposti in un contesto adatto alle loro caratteristiche. Se poi falliscono anche lì, giusto bocciarli. Ma ricordiamoci che dipendono anche loro dai momenti e dall’umoralità del calcio. In casa Milan sono arrivati ad esempio giocatori come De Jong, Zapata e Niang che oggi vengono confusi nella tonalità grigia di alcune prestazioni del Milan, ma che, soprattutto Niang per ruolo e per età, faranno ricredere al momento giusto tante bocche.
Fonte: Mauro Suma per Tuttomercatoweb.com
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