El hombre del partido: prima, durante, dopo, nell’immaginario collettivo d’una città perennemente in delirio per quello scugnizzo imprevedibile, una finta pure per il vento. El hombre del partido, sempre e a prescindere, quando il pallone è ancora tra le mani dell’arbitro; quando ormai è finita e si è sotto la doccia; quando si è al bar dello sport a chiacchierar di calcio e dell’allegria contagiosa di quel diavoletto che cento ne fa e altrettante ne inventa.
L’ORA DEL POCHO – El hombre del partido è, ieri e oggi e domani, Ezequiel Lavezzi, l’idolo d’una Napoli ch’è Pocho-dipendente, perché nell’aria c’è sempre un guizzo, uno scatto, un tunnel o un dribbling o un vattelapaesca che galleggia; c’è un folletto che agita le coscienze e carica l’attesa, con spruzzate d’andrenalina allo stato puro, e al diavolo l’astinenza, il mal di gol e quelle statistiche che niente tolgono al fascino incontaminabile d’un genietto a corrente continua, un dispensatore di assist come pochi, un fenomeno popolare che ha strapazzato il cuore d’una folla innamorata pazza.
L’ORA DEL GOL – Ma poi, dov’eravamo rimasti? 29 gennaio 2012, mica tanto tempo fa: è un pomeriggio infernale, 3-0 per il Genoa, quando il Pocho si scrolla di dosso la pigrizia e comincia a menar fendenti, allunghi da destra a sinistra, la voracità di un affamato e un gol bello e però inutile che però serve per alimentare l’autostima, per rompere il digiuno prolungato che va avanti dal 4 dicembre, l’ultima rete interna al San Paolo – contro il Lecce – Eh già, eravamo rimasti a quota quattro, sempre pochi rispetto alle previsioni di Mazzarri ( «per me può andare sistematicamente oltre quota dieci, se crede in se stesso» ), sempre parecchie in relazione alla filosofia d’un bomber atipico, altruista dentro: «Perché lo sapete, io sono felice anche quando metto un compagno in condizione di segnare. Sono fatto così».
L’ORA DELLA VITTORIA – Il Lavezzi scatenato, quella vipera che avvelena le difese, va ben al di là di se stesso, del suo curriculum personale, però in questi cinque anni in salsa partenopea, con 171 presenze e quarantuno reti, ce ne sono di immagini da fermare nella memoria, per raffigurare dove, come e quando è nata la liasion. Forse tutto comincia con la tripletta al Pisa in Coppa Italia, oppure con una gara mostruosa a Udine per uno 0-5 insuperabile o anche per quella domenica da leoni nella quale buttò il Milan fuori della Champions, o ancora il 2-1 sulla Juventus al San Paolo nel 2008-2009, lui e Hamsik per rimontare Amauri o perché no il cucchiaio pur inutile al Milan, tra Nesta e Abbiati o persino la scheggia che zittì Anfield, 1-0 Napoli prima che Gerrard ne facesse tre. E ora che la vittoria manca dall’8 gennaio, a Palermo, a chi volete si appelli il San Paolo?
«VOGLIO VINCERE» – Si gioca e ritocca a lui, sistemato in panchina per rifiatare a Siena, in coppa Italia, poi protagonista del finale arrembante, trascinandosi il Napoli sulle spalle. Si riparte e stavolta il Pocho c’è, con dentro la voglia matta di riuscire a vincere qualcosa, ribadita dal suo manager, giorni fa, Alejandro Junior Mazzoni, e frequentemente cinguettata attraverso twitter ( «voglio alzare la coppa Italia» ), il collegamento diretto con un esercito di fans che gli sta intorno e lo ricopre di affettuosità, come l’ultima canzone dedicatagli da Kekko dei Modà. E’ Napoli-Chievo, mica una gara come le altre, perché è la gara del Pocho, che a Verona, due anni fa, riuscì persino a trovare (su punizione) la rete che spalancò quasi definitivamente le porte dell’Europa. El hombre del partido…
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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