Con più dignità che imbarazzo, Gigi Del Neri ufficializza l’addio, sull’uscio dell’ultima partita, stasera contro il Napoli. Basta una domanda, poi ci pensa lui, tutto d’un fiato, preciso come un comunicato: «La Juventus cambia allenatore. Ero informato di questo, da martedì o mercoledì, quindi faccio un in bocca al lupo a chi verrà. E non so chi sarà. Speriamo sia una scelta giusta, e spero anch’io di trovare una soluzione. D’altronde, si dice sempre che si chiude una porta e si apre un portone». O si riapre, forse quello dell’Atalanta.
Da dipendente serio e corretto, come s’è dimostrato in questi mesi, non fa polemiche, anche se, qua e là, infila alcune osservazioni che dovrebbero far riflettere, casa Juve e dintorni. Primo: «Con grandi cambiamenti si può anche andare incontro a grandi difficoltà. Le grandi strutture hanno bisogno di un attimo di tempo. Evidentemente la Juventus non ha tempo di aspettare». Secondo: «Tutti mi dicevano che era difficile guidare giocatori di livello, invece è stata la cosa più facile da fare. È più difficile guidare altre cose». Detto senza specificare, ma lasciando indizi, sui rapporti con l’ambiente, per esempio: «La non credibilità all’esterno è stata molto efficace nel non produrre grandi risultati».
Del Neri non ha rimpianti («L’importante è essere a posto con se stessi») e non si sente un capro espiatorio, anche se sarebbe piuttosto comodo, e un po’ vero, passare come tale: «Ripeto una cosa fondamentale: i grandi cambiamenti impongono anche stagioni di questo tipo, non sempre produttive dal punto di vista dei risultati. E non penso che nessuno possa permettersi il lusso di cambiare molto e di ottenere quello che puoi ottenere con un gruppo che è coeso da tre o quattro anni».
Del resto, se è vero, come dice il tecnico, che la Champions non gli fu chiesta, la giusta causa del licenziamento dovrà essere spiegata in altro modo: «L’obiettivo della società è sempre stato quello di riuscire a ottenere il massimo e ricostruire un gruppo di giocatori, che doveva essere cambiato: ed è stato fatto. Quando poi ho detto, “guarda che magari quest’anno alla Juve lo scudetto è una parola grossa”, ha nevicato ad agosto. Può succedere, ma mi sembra un po’ fuori luogo». Difende la squadra: «Sono orgoglioso di aver guidato questo gruppo di giocatori».
Compresi gli antichi samurai, che Andrea Agnelli e Pavel Nedved avevano affettato: «Ci sono tanti vecchi – spiega l’allenatore – che secondo me con gli stimoli giusti sono ancora giocatori capaci di dare energie importanti al gruppo. Ed è quello cui abbiamo attinto in un momento molto importante della stagione: l’orgoglio, la voglia. Ho trovato stimoli importanti, stimoli che almeno per un periodo della stagione ci hanno dato un input. Poi magari il meccanismo si è inceppato dopo tre vittorie e due pareggi, ma c’erano già molte energie disperse all’esterno. E la non credibilità all’esterno è stata molto efficace nel non produrre grandi risultati».
Addio, allora, senza rancore. «Assolutamente. Ringrazio la Juve che mi ha dato l’opportunità di arrivare qua. Ho fatto un’esperienza importante, che mi ha maturato. La Juve ha un nome importante, abbiamo fatto questo tentativo e spero rimangano molte cose positive, tante anche negative, perché no. Però la vita va avanti».
Fonte: La Stampa
La Redazione
A.F.
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