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Squadre giocattolo dei boss, così il clan scende in campo

In campo, nel torneo di Promozione, era sempre aggressivo. Tirava calci, pugni, provocava. Luigi Baccante, detto Maurizio, giocava da mediano nel Marano e tutti sapevano che era un affiliato del clan Nuvoletta. Oggi è all’ergastolo, accusato di essere uno dei mandanti dell’omicidio di Giancarlo Siani.
Calcio e camorra, lo sport più popolare in Italia che, soprattutto nei piccoli centri e nelle serie minori, attira simpatie, consensi. Le squadre sono per questo appetite da dirigenti in odore di camorra. È successo per il Quarto calcio, arrivato fino alla serie D con la presidenza di Castrese Paragliola, imprenditore considerato vicino al clan Polverino. E succedeva, anni fa, con il Posillipo calcio a Napoli, che aveva in prima divisione dirigente-allenatore Giovanni Paesano, il boss del quartiere ucciso dinanzi al’ippodromo di Agnano il 4 giugno 1995. Nell’ottobre del 1980, Antonio Sibilia, presidente dell’Avellino in seria A con simpatie per il boss della Nco Raffaele Cutolo, costrinse il suo calciatore di colore Juary a consegnare durante un processo una medaglia al noto capocamorra. Per la gioia di telecamere e giornalisti.
In tempi più recenti, quelli in cui inchieste della Dda napoletana sui clan sono incappate nelle intercettazioni del calcio scommesse, le sorprese sono state continue. Tutte legate al giro di affari delle scommesse legate al calcio controllate, anche nelle serie inferiori, dai clan camorristici. Raccontò, negli anni Novanta, il pentito Raffaele Giuliano di Forcella: «Fu mio fratello a inventarsi il sistema del totonero, il sistema delle scommesse clandestine legate al calcio. Già agli inizi, rendeva fino a 200 milioni di lire a settimana». E aggiunse il fratello Guglielmo, anche lui pentito: «Le scommesse rappresentano il maggior introito del nostro clan. Con il tempo, siamo arrivati a guadagnare due miliardi a settimana».
Furono proprio i Giuliano ad accogliere, nella loro casa di Forcella, addirittura Maradona dopo la vittoria del primo scudetto del Napoli. Le foto del calciatore con Carmine Giuliano fecero il giro del mondo. E si parlò del pibe de oro e di camorra anche dopo il furto del pallone d’oro alla Banca della Provincia di Napoli. Alcuni amici di Maradona si rivolsero ai Lo Russo di Miano, per cercare di recuperare i beni del calciatore rubati nel caveau durante la clamorosa rapina.
Il sindaco di Castellammare, Luigi Bobbio, ex magistrato, non ha mai perso occasione di denunciare le infiltrazioni del clan D’Alessandro nell’area stabiese. E non ne è stata estranea neanche la squadra locale, la Juve Stabia, che finì nell’inchiesta Golden goal per la partita con il Sorrento al centro di un appetitoso giro di scommesse. Due calciatori del Sorrento, ipotizzò l’indagine dei carabinieri, accettarono 25mila euro da esponenti dei clan stabiesi D’Alessandro-Di Martino per alterare l’incontro. I calciatori della Juve Stabia furono anche costretti da malintenzionati a rimanere in mutande dopo una trasferta.
Denunciò due anni fa l’allora procuratore capo di Napoli, Giandomenico Lepore: «I clan sono sempre più attivi nel giro delle scommesse legate al calcio». Oltre alle scommesse, la squadra locale è anche un mezzo per apparire e attirare simpatie sul clan. A Pagani, provincia di Salerno, due dirigenti della squadra furono arrestati per associazione camorristica dalla Dda di Salerno. Ritenuti vicini al clan D’Auria Petrosino, da finanziatori della campagna elettorale del sindaco, bussavano a soldi al Comune, per la squadra: almeno diecimila euro all’anno.
Da una provincia all’altra. Albanova era il nome antico di Casal di Principe. Un nome dato alla squadra locale, che arrivò a sfiorare la promozione in C1 con la presidenza di Dante Passarelli, imprenditore dello zucchero morto in un incidente misterioso, considerato affiliato al clan dei Casalesi. Nel 1992, tra i dirigenti ci fu anche Francesco Schiavone detto Sandokan uno dei vertici della mafia-camorra casertana. Un famoso comunicato annunciò quell’ingresso societario: «Finalmente un raggio di sole nel Casale calcio. Il noto imprenditore Francesco Schiavone è entrato a far parte della dirigenza». L’investimento nella squadra serviva a far girare soldi, cambiarli, trasformarli. Riciclaggio, ma anche consenso sociale sul territorio. Allo stadio, si consolidavano le simpatie dei tifosi per un boss definito «solo un imprenditore».
Anche la Mondragonese, sempre provincia di Caserta, squadra di serie D, ha avuto dirigenza inquinata, con Renato Pagliuca, ex calciatore che fu reggente del clan La Torre. Diceva in giro di voler comprare il brasiliano Cerezo. La squadra era il suo giocattolo. Finì male, ucciso nel 1995.
Storie di camorra e di calcio inquinato. Nelle ultime inchieste sul calcio scommesse, protagonisti sono gruppi di clan slavi. Ma le squadre dei piccoli centri restano strumenti di potere e controllo sociale. E, su questo, le mafie sono molto sensibili. In Campania, come nelle altre regioni. Sicilia e Calabria in testa.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

P.S.

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