Il Pampa Sosa ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport. Ha parlato della sua esperienza a Napoli, quando si doveva ripartite dalla Serie C, fino al momento straordinario che sta vivendo oggi. Ecco le sue parole:
“Fui il primo tesserato del nuovo Napoli nato dal fallimento. Firmai il contratto in una stanza dell’Hotel Vesuvio. Non esisteva una sede. Al primo allenamento eravamo in 4. Io, Montervino, Montesanto e Esposito. Non c’era nulla. Zero. Tutto sequestrato. Tutto così surreale”.
L’allenatore era Giampiero Ventura.
“Parlava delle sue idee a questi 4 disperati, ma era fantacalcio. Non c’era una squadra e nemmeno la si poteva immaginare. Esposito aveva in macchina il pallone sgonfio del nipotino. Un pallone della Lazio. Facemmo con quello i primi palleggi.
Come mi convinse Marino? Mi chiamò e mi disse: ‘Ti voglio portare con me a Napoli, non ti pentirai, torneremo in A e diventerai il re della città’.
Mi feci promettere da Pierpaolo che nell’ultima al San Paolo avrei indossato la 10 di Maradona. Era stata ritirata, ma in C valeva ancora la numerazione tradizionale”.
Sull’ultima in casa, contro il Frosinone:
“Eravamo già promossi, chiedo a Reja la numero 10 ma lui fa il vago. ‘Vediamo’, mi fa. ‘Vediamo un cazzo, mister!’. Parlai con Pierpaolo e gli ricordai il patto”.
Il primo incontro con De Laurentiis:
“Ci disse: ‘Ragazzi, se l’arbitro ci fischia rigore contro voi dovete dire grazie’. Non capiva molto di calcio, ma ci fece subito sapere che gli importava il rispetto delle regole. E poi sa scegliere gli uomini, non ne sbaglia uno”.
Su Luciano Spalletti:
“Spalletti l’ho avuto a Udine. Se penso a lui, non mi ricordo di come giocava tatticamente. Mi ricordo la sua empatia: te le faceva toccare con mano le cose in cui credeva. Se lo confronto con Sarri, un altro allenatore che stimo e conosco bene: Sarri insegna a giocare a calcio, Spalletti ti insegna a come stare nel calcio”.
Sul suo contributo al probabile scudetto:
“Mi sento d’aver messo il primo mattone, il primo a dire: crediamoci. Il primo atto di fede. Con i compagni, De Laurentis e Marino, abbiamo attraversato l’inferno e oggi siamo alle porte del paradiso”.
Sul giocatore da scegliere in questo Napoli:
“Facile dire Osimhen, ma scelgo Simeone. Mi ci rivedo in lui. Umiltà, orgoglio, dedizione. Sta in panchina solo perché ha davanti un fenomeno, accettare non è facile ma lui è impeccabile”.
Allenatore o commentatore?
“Ho allenato in Argentina, Bolivia, in Italia e nei Paesi Arabi. Nessun dubbio: mi sento allenatore. Fino a giugno mi sono messo il cuore in pace: seguirò questo Napoli che è come fare un master a Coverciano. Ho tutti i patentini che servono, devo solo trovarmi un bravo procuratore”.
Sul calciatore più forte con cui ha giocato:
“Guillermo Schelotto al Boca, Amoroso all’Udinese e Pocho Lavezzi al Napoli. Un pazzo. Genio e sregolatezza. Non gli piaceva allenarsi. Per un anno ha fatto finta di non parlare e non capire l’italiano per non avere rotture di scatole”.
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