Quando Jep Gambardella non era ancora nato, e magari neppure era stato concepito, la Grande Bellezza si scovava in quel sorriso fanciullesco d’un Genio che s’era già manifestato sotto mentite spoglie, magari travestendosi da Tony Pagoda (e in «Hanno tutti ragione»), e che attraverso il linguaggio dell’anima trascinava in un viaggio letterario o cinematografico oltre i limiti dell’estasi.
Quando il calcio – a Napoli – era ancora un ammasso di polvere che sbuffava dal sottoscala e dal Fallimento, e il San Paolo melanconicamente «favoleggiava» cantandosi ‘O surdato ‘nnammurato, quasi a voler evocare il passato, la Grande Bellezza era in quel «fenomeno» così paranormale che, per nulla distante dagli umani, anzi a loro così affine, s’intrufolava in se stesso per dipingersi il cielo d’azzurro. Quando Roma non era stata ancora così riprodotta meravigliosamente, «fellinianamente» e però anche «maradonianamente», e però c’era già percezione dell’immensità di Paolo Sorrentino, la Grande Bellezza era ritrovare lo scrittore e il regista spogliati della loro (la sua) enormità e vestita d’una passione controllata, dignitosa e però palpabile che si scorgeva leggendone gli occhi da fan che per nulla si sarebbe tirato indietro, fosse pure la serie C.
Lui e De Laurentiis
Quando Jep Gambardella, pardon suo padre, Paolo Sorrentino, s’era appena imbattuto in tappeti rossi e però non s’era spinto sino alle colline di Los Angeles, la vetta dell’io più personale, alla domenica, era il San Paolo e ciò che all’epoca era possibile concedersi, al fianco di Aurelio De Laurentiis, che all’alba d’una giornata meravigliosa l’ha detto a parole sue, con centoquaranta caratteri d’affetto prima e poi con un cinguettio di dolce ammirazione. «Sorrentino ci onora come italiani e come napoletani e mi ha fatto piacere abbia nominato Maradona. Gli siamo grati per averci regalato la Grande Bellezza di stare in piedi una notte intera per l’emozione d’una Grande vittoria».
Lui e Benitez
Ma quando ormai Jep Gambardella, o meglio la sua coscienza, s’era ormai preso la scena e l’aveva sballottata sin dal primo fotogramma, perché la Grande Bellezza è subito, Napoli era ormai un’altra, d’una dimensione universale, proiettata intorno all’autorevolezza di Rafa Benitez, il riferimento per svelare il Paolo Sorrentino immerso nel pallone persino dopo la conquista del Golden Globe: «Io non penso all’Oscar, adesso ci godiamo quest’emozione e questa straordinaria vittoria: perché, come dice l’allenatore della mia squadra del cuore, Benitez, si gioca una partita per volta».
E ora ch’è finita, e il triplice fischio è l’Incoronazione, il desiderio d’incontrare Rafa, di sedersi con lui al tavolo a pranzo o a cena – per parlar di calcio e del Napoli – è introdotto dal riconoscimento del señor della panchina che sa sempre cosa dire, come dirlo, quando dirlo, toccando le corde d’un sentimento vivo: «Complimenti a Paolo Sorrentino, grande regista, che riporta l’Oscar in Italia dopo 15 anni. Un premio Oscar tifoso del Napoli. Complimenti Paolo, sei arrivato al traguardo una partita per volta e alla fine il bilancio è fantastico. Grande Sorrentino e forza Napoli sempre».
Lui e Diego
Ma mentre invece Jep Gambardella (e Tony Pagoda e tutto ciò ch’è stato finora e che sarà un giorno) lasciava che fossero i sogni a guidarlo, in quell’adolescenza proiettata nelle parabole d’un pibe de oro, impareggiabile cantore anch’egli d’una città in cui perdersi, il capolavoro si stava probabilmente costruendo attraverso l’immaginifica evoluzione d’un mito da raccontare in un istante, quello del Trionfo, citandolo perché sapesse cos’è stato Diego per lui e per Napoli e ricevendone in cambio l’abbraccio che tra Fenomeni sa d’empatia: «E’ con grande onore e orgoglio che ringrazio Paolo Sorrentino che mi ha eletto come fonte di ispirazione assieme a Fellini e a Scorsese e al gruppo dei Talking Heads. Mi fa piacere che un figlio di quella Napoli che tanto amo e nella quale vorrei tornare presto abbia vinto un Oscar. E’ Napoli la vera fonte di ispirazione di tutti noi che l’amiamo».
Quando Jep Gambardella (oh, scusate, Paolo Sorrentino) s’è ritrovato immerso nella Gloria del Firmamento, il sole che bacia Napoli e il Napoli che lo bagna lasciano sprigionare colori illuminanti, una lucentezza abbagliante ch’è la Grande Bellezza
Fonte: Corriere dello Sport
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