ROMA – Probabilmente il fenomeno – deprecabile e vile – non ha le dimensioni che verrebbe da accreditargli stando alle azioni e alle reazioni di questi giorni. Anzi, dati alla mano è così e al Viminale non smentiscono: il razzismo non è la nuova piaga degli stadi, i numeri in questo senso aiutano. Ma, ripetiamo, è fatto deprecabile e la posta in gioco che si porta dietro, il significato recondito, le possibili ricadute, sono pericolose. A cominciare da quel patto tra gli ultrà che a Napoli avevano fatto ventilare domenica, con qualche striscione “sospetto”, e che martedì la curva dell’Inter ha reso più chiaro: un coro in ogni stadio, così li svuotiamo tutti e si fa una domenica senza pubblico. Ecco svelato il piano e dietro al piano un obiettivo.
LA LEADERSHIP – Un vecchio obiettivo, al Viminale è noto da un decennio. La leadership, nazionale e anche internazionale, tra gli ultrà. Ricordate il Lazio-Roma “sospeso” dai tifosi? Era il 21 marzo 2004, si diffuse la voce di un bambino investito da un blindato fuori lo stadio e le curve unite chiesero e ottennero dalle squadre in campo, di fermare la gara. Furono necessari appelli pubblici per smentire e riprendere. Fu una interruzione storica che sanciva il riconoscimento di un ruolo guida alla tifoseria laziale e a quella romanista rispetto alle altre: quelle immagini andarono anche in giro per l’Europa. In questo caso, quello paventato di una domenica a stadi vuoti, la rilevanza europea sarebbe garantita, visto l’impegno che Fifa e Uefa stanno dando al loro impegno nel fenomeno e alla tolleranza zero.
LE LINEE – Il rischio di una strumentalizzazione così estremizzata dei club, da parte dei violenti era stato fotografato dal vice presidente operativo dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Roberto Massucci, anche direttore del Centro nazionale di informazione (Cnims): un mese fa aveva espresso il punto di vista del Viminale in modo chiaro al settimanale Panorama sulla norma contro il razzismo. «Siamo in una situazione molto delicata. E’ vero ed è evidente anche per noi, ma in questa fase è necessario dare segnali chiari. Siamo preoccupati che possa innescarsi un meccanismo di debolezza dei club. Il rischio esiste. Alle società dico che oggi hanno opportunità di confronto con le forze dell’ordine che sono quotidiane e, se fossero ricattate, non hanno nemmeno bisogno di andare a fare una denuncia: esistono spazi di collaborazione così stretta…» .
Parole intellegibili: una norma ha solo una conseguenza, essere applicata. Poi c’è da ragionare sugli effetti che può avere l’applicazione della norma. E accompagnare questa norma. Rivederla? Questo non compete a chi si occupa di sicurezza. Per accompagnarla servono una serie di misure da condividere con il mondo del calcio. Abete ha detto «attendo proposte» , al Viminale aspettano un cenno, ma sono pronti. La proposta non può essere quella di abolire la parolina “territoriale” e togliere qualche steccato al mondo ultrà perché i club diventino meno ostaggio. Chi deve affrontare il problema occupandosi di sicurezza negli stadi probabilmente qualche idea ce l’ha. Ed è anche nota. Magari non tutte le idee sono facili da digerire. Riappropriarsi dello stadio in toto, evitando che i settori ospiti e le curve diventino talvolta terreno off limits per gli steward (e pare che succeda); ragionare sull’opportunità di rivedere i limiti di legge e abbassare quello dei settori ospiti, che a 10.000 posti possono diventare difficili da gestire. E per superare la responsabilità oggettiva? Diventare persone offese – questo il passaggio più delicato – costituirsi parte civile, richiedere danni a chi li ha causati, denunciare. In una parola far sentire alla parte sana, fidelizzata del tifo, di essere importante. Evitando che il mondo di pochi, quello della incultura di pochi, prevalga sulla cultura dei tanti appassionati che vanno allo stadio. Questa è la partita vera, Da giocare, in fretta, nelle sedi opportune.
Fonte: Corriere dello Sport
La redazione
F.G.
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