Tra qualche mese saranno sessant’anni giusti. Sessant’anni di calcio. Andò via da casa ch’era uno sbarbatello. Ne aveva 15 quando lasciò Crevalcore per inseguire i sogni e un pallone a Firenze. Era il 1955, una vita fa. Al cinema faceva il pienone “Marcellino pane e vino”. La FIAT presentava a Ginevra la 600 e apriva Disneyland a Los Angeles. Gigi Simoni era un ragazzetto. E in fondo quello spirito non l’ha ancora perso. Pure ora che di anni ne ha 75 sta sempre lì dietro ad un pallone. Seppur con lo sguardo ormai. Lo chiami che è quasi ora di pranzo ed è già a tavola coi suoi dirigenti. Suoi, sì. Perché ormai fa il Presidente. Questione di esperienza, di conoscenze che con le rughe diventano più profonde, di una passione senza tempo e forse, per lui, neanche maglia. Ne ha vestite una ventina e più tra campo, panchina e scrivania. Ed è ormai di tutti. Gigi Simoni è del calcio italiano. Al Torino era l’altra ala della farfalla granata. Gigi Meroni da una parte lui dall’altra. E dopo 47 anni dalla sua scomparsa ancora non si dà pace. «Un’ingiustizia della vita, era un ragazzo d’oro e un giocatore divino». Tre anni al Toro. Poi la Juventus. La squadra che più di altre l’ha fatto arrabbiare. Si giocava lo scudetto, rischiò di giocarsi la salute. Quel fallo di Iuliano su Ronaldo neanche era da far vedere alla moviola, non ce n’era bisogno. «Quell’Inter, la mia Inter, era fortissima. Ronaldo, quello vero, era un fenomeno pazzesco. E poi Djorkaeff, Winter, Baggio: campioni veri e ragazzi educati. Pure se per me il simbolo dell’Inter resta Bergomi: la società avrebbe dovuto valorizzarne la fedeltà ai colori». Ci rimase un anno e un po’ all’Inter. Vinse la Coppa Uefa. Arrivò secondo coi nervi tesi in campionato e alzò il premio “panchina d’oro”. Ma non bastò. Il calcio è buffo. E dopo aver battuto il Real Madrid e la Salernitana fu esonerato da Moratti. «Mai vista una cosa così, penso non sia mai accaduto». Storie strane. Pure quella a Napoli è da raccontare. Simoni c’era stato nel ’61/’62 da giocatore. Serie B. Pesaola allenatore. Promozione “chiacchierata”, accuse di combine e la prima Coppa Italia. Ci tornò da allenatore nel ’96. E di quella stagione ha il ricordo più bello in azzurro. L’aveva consigliato Ottavio Bianchi a Ferlaino. Erano tempi di magra e il mercato gli portò Caccia, Aglietti e due brasiliani, praticamente opposti: Caio Ribeiro detto ‘o dottorinho, attaccante in prestito proprio dall’Inter, aveva segnato 7 reti ai mondiali U20 in una partita sola; l’altro era Beto, talento ribelle ad ogni schema tattico e della vita. Quella notte, in Coppa Italia, in semifinale, segnò proprio lui. Fu il delirio.«Se chiudo gli occhi e penso a Inter e Napoli, il mio pensierò corre a quella partita. Il San Paolo era pieno: record di incasso e di amore. Andammo ai rigori. Passammo noi. Ma la felicità non fu lunga». Eh no. Faccenda di contratti, mezze parole, strategie reciproche ed esonero doloroso. Simoni aspettava il rinnovo. Ferlaino temporeggiò. E lui si promise all’Inter: da Aglietti a Ronaldo. Bel salto…nel buio. In finale, in panchina, ci andò Montefusco. «Avrei meritato di esserci io. Ero legato alla squadra. Ajala, Cruz, Pecchia: giocatori e uomini di valore». Storie che tornano, legate a filo doppio a quei i sentimenti che l’età rafforza. Nostalgie, ricordi e affetti per sempre. Da dividere, spesso, quando c’è il passato di mezzo.
Simoni, c’è Inter-Napoli: impossibile far finta di nulla…
«E come potrei. Io spero in un pari. Faccio fatica a schierarmi».
Insistiamo prendendola alla larga. Ora che fa il Presidente si scelga l’allenatore: Benitez o Mazzarri?
«Secco: dico Benitez. Però devo spiegarmi».
Prego…
«Mazzarri è stato mio giocatore. Ho affetto e stima per lui. Ovunque sia andato ha fatto un grande lavoro e non merita di stare sotto tiro. Tre settimne fa era da scudetto, ora passa per inadeguato: il calcio è troppo volubile. Walter è bravo ma deve migliorare».
Ancora?
«Sì, nei rapporti. Deve imparare a gestire gli umori e le tensioni. Essere più cordiale. Un sorriso, soprattutto nei post partita, aiuta».
Benitez un modello in tal senso…
«E’ perfetto. Ho grande considerazione di lui. Mi piace tutto, come allenatore e stile. Se poi riuscisse anche a prendere qualche gol in meno, perfetto. Sinceramente tifo per lui».
L’atteggiamento figlio anche del momento. Per Mazzarri tempi duri.
«Ma può uscirne. Il lavoro alla lunga paga, e lui è capace, ed ha una buona squadra. Certo, conosco Milano e San Siro, e l’ambiente sarà pesante. Serve una vittoria».
Quella a tutti, anche al Napoli.
«Certo. Ma avrebbe un significato diverso. Vincere fuori, in quello stadio, darebbe ulteriore consapevolezza alla squadra, darebbe continuità all’ultimo trend di risultati. Purtroppo il Napoli è partito male e quelle davanti vanno troppo veloci».
Imprendibili?
«La Juve non molla mai. Ha sempre fame. Ma i giallorossi hanno forza, entusiasmo e un organico abbondante».
Però Hamsik, Callejon e Insigne ci credono allo scudetto.
«E fanno bene. Giusto. Era quello l’obiettivo e c’è tutto il tempo per recuperare. Ma quelle due hanno qualcosa in più».
Se Higuain si sblocca sarà però tutto più facile. E possibile.
«Neanche mi pongo la questione. Chi dubita del Pipita è da ammanettare».
Si è scelto l’allenatore, ora torni in panchina. Chi vorrebbe suo Presidente: Thohir o De Laurentiis?
«L’indonesiano mi comincia ad essere simpatico. Dice che è tifoso ed è un bel sentire per gli interisti. L’altro è più ruspante, tosto, però mi è sembrato sempre molto equilibrato con squadra e allenatore nei momenti difficili. L’ho apprezzato. Non saprei davvero».
Altro pari?
«Sì, come Inter-Napoli».
Fonte: Corriere dello sport
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