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Si, senza Pocho Napoli più forte

Senza Lavezzi Hamsik e Cavani hanno licenza di attaccare con più facilità

A Pechino già non c’era ma all’Olimpico di Roma, invece, Lavezzi indossava ancora la maglia azzurra in quella che resta l’unica sconfitta subita dalla Juve di Conte. Fu la serata d’addio del Pocho ad una squadra e ad una città a cui tanto aveva dato nel corso di cinque campionati e tanto aveva ricevuto in termini di stima ed incoraggiamento. Non è azzardato sostenere che Lavezzi ed il Napoli siano cresciuti insieme, diventati grandi progressivamente, passati in cinque campionati da simpatica matricola in serie A fino ad avversaria temuta in Champions ed ora tra le pretendenti più accreditate allo scudetto.

LUI E LA JUVE – Sarebbe ingeneroso oggi non riconoscere il grande merito che ha avuto il Pocho nella realizzazione della prima fase del progetto, quella più difficile. Il Napoli aveva bisogno di riacquistare la dimensione che gli era appartenuta nella seconda metà degli anni Ottanta; di riguadagnare posizioni tra le big del campionato; di riassaporare la platea europea. Ed in tutto questo tanto ha contribuito quell’argentino con la faccia da scugnizzo che osava sfidare le grandi a viso aperto già al primo campionato (vittoria sulla Juve al San Paolo per 3 a 1); battendo di nuovo i bianconeri l’anno dopo stavolta con la sua firma (2 a 1 il 18 ottobre del 2008); e poi i due kappò alla Signora inflitti nel 2009-2010, con una vittoria a Torino nella gestione-Mazzarri che resta nella storia (2-3 con doppietta di Hamsik e rete di Datolo); inoltre il 3 a 0 del 2011 con tripletta di Cavani; ed infine, il 3 a 3 dello scorso campionato. Sempre lo zampino del Pocho nelle quattro vittorie ed un pari a Fuorigrotta, come nel colpaccio in trasferta, fino ad arrivare alla Coppa Italia vinta a Roma il 20 maggio che segnò l’addio annunciato (e desiderato) del campione di Villa Gobernador Galvez.  Come avvenne per Maradona, anche a Lavezzi venne presto spiegato cosa rappresentava per i tifosi napoletani la Juventus: l’avversario per antonomasia. E lui, ogni volta dava tutto se stesso in campo pur di regalare un momento di gioia ai suoi supporters. Era felice Lavezzi allo stadio Olimpico di Roma la notte del 20 maggio: un addio migliore non poteva sperarlo. Ma all’alba, dopo il giro festoso per le strade di Napoli, aveva già la testa altrove. «Vorrei provare una nuova esperienza» , «Ho bisogno di trovare nuovi stimoli» , ripeteva. Ed appena si fece avanti il Paris Saint Germain, De Laurentiis e Mazzarri sapevano che sarebbe stato inutile opporsi.
SENZA DI LUI – Con la partenza del Pocho, il Napoli ha perso esplosività in attacco, fantasia, nonché la forza devastante nel mandare in tilt i dispositivi difensivi avversari. Ma è stato abile Mazzarri nel cercare di sopperire all’assenza dell’argentino sperimentando nuove formule tattiche. Mancando un omologo del Pocho, il tecnico toscano ha convinto De Laurentiis ad acquistare Pandev (non prima di averne parlato con il macedone); ha iniziato a provare un assetto piuttosto elastico, con cinque centrocampisti e Pandev a ridosso di Cavani. Uno schema capace di metamorfosi improvvise: dal tre-cinque-uno-uno, ad un tre-quattro- uno- due, con Hamsik nelle vesti di regista offensivo o anche punta aggiunta nella fase di possesso palla.  E paradossalmente, la cessione di Lavezzi ha offerto al Napoli nuovi sbocchi offensivi; sprigionato tutto il talento di Hamsik; creato nuovi spazi in avanti dove possono infilarsi a turno sia Cavani che Pandev. Insomma, un Napoli altrettanto letale negli ultimi venti metri, quanto imprevedibile negli affondi. E lo si è visto a Pechino (prima delle due espulsioni) e si è avuta la conferma nelle sette gare di campionato (esclusa Catania).  Con Lavezzi che veniva a prendere palla sulla trequarti, effettuava quella conversione a mezza luna verso il centro per poi saltare l’avversario e fiondarsi in area, il Napoli era vincolato all’estro dell’argentino (ed al suo stato di forma), limitato nelle sue giocate offensive, seppure spumeggianti e pirotecniche. Oggi, invece, Hamsik è più libero di seguire l’ispirazione del momento, Pandev sa che può prodursi in assist per il compagno meglio piazzato o cercare la soluzione personale, e Cavani ha licenza di svariare a sinistra come a destra riuscendo peraltro ad essere persino più prolifico della passata stagione: nelle prime sette gare il Matador aveva realizzato tre gol; ora è già a sei con due rigori procurati (uno procurato da Pandev e l’altro da Hamsik).
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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