All’epoca (24 anni fa), si chiamava Coppa dei Campioni. Vi accedevano solo le squadre vincitrici dei rispettivi campionati. Aveva, quindi, lo stesso prestigio di oggi anche se era strutturata in maniera diversa. Il Napoli di Maradona l’afferrò due volte. Ma non ebbe granché fortuna, disputando in totale sei gare complessive. Nella prima, dopo lo scudetto ‘86-‘87, si fermò al debuttò. Eliminato dal Real Madrid dei Butragueno, Michel e Sanchez. Al secondo tentativo, nell’edizione del ‘90-‘91, invece, uscì agli ottavi ad opera dello Spartak Mosca. Dopo essersi sbarazzato degli ungheresi dell’Ujpest Dozsa, s’arrese poi ai rigori nella gara di ritorno con i russi allenati da Romancev. Quella eliminazione venne preceduta da una vigilia agitatissima. Maradona non partì con i compagni, presentandosi la mattina dopo a Mosca con un aereo privato. La società (Ferlaino e Moggi) e l’allenatore (Albertino Bigon) decisero di far partire l’argentino dalla panchina e i tempi regolamentari si conclusero con un nulla di fatto. Poi il nino de oro subentrò al 17′ del secondo tempo e sotto la neve non riuscì a trascinare i suoi ai quarti. Dal dischetto, poi, fallì Baroni.
Gli ottavi di finali dell’attuale Champions League, se dovessero essere agguantati dai ragazzi di Mazzarri, varrebbero tanto di più di quegli ottavi raggiunti dal Napoli dell’epoca d’oro. Allora bastò eliminare l’Ujpest in due partite per accedervi. Stavolta il cammino di Lavezzi e soci è stato molto più insidioso ma anche inaspettato quanto sorprendente. Il Napoli si è dovuto misurare con il meglio del calcio tedesco e di quello britannico. Bayern Monaco e Manchester City, infatti, guidano rispettivamente la la Bundesliga e la Premier. Inoltre non era così facile piegare il Villarreal di Pepito Rossi e Nilmar al San Paolo che pure vanta oltre cento apparizioni in ambito europeo. Batterlo per due a zero e mantenere la propria porta inviolata fu un’impresa anche quella. Ora davvero gli azzurri potrebbero entrare nella storia del club, se dovesse riuscire la «mission» al «Madrigal».
STESSA PASSIONE – Sono davvero poche le analogie tra quel Napoli e quello attuale. Forse la voglia di vincere di quel gruppo, la stessa oggi. O più verosimilmente la passione di una città intera per la propria squadra di calcio che era riuscita a strappare due scudetti all’egemonia di Milano e Torino. Anche allora il tifo esondava di entusiasmo. Persino nel gelo di Mosca c’erano comitive di napoletani fiduciose di un’impresa. Ed anche in Piazza Rossa, come a Marienplatz o a St Albert Square, il centro di Manchester, c’erano bandiere azzurre. Di padre in figlio, l’amore è stato tramandato. Oggi come ieri, e più di ieri, si tifa Napoli.
DIFFERENZE – Sul piano tecnico, poi, le differenze sono sostanziali. Quel Napoli si affidava a solisti d’eccezione: Maradona, Careca, Giordano, Carnevale, Zola. Grande fase difensiva e pallone a chi era davanti, soprattutto al genio con la maglia numero «10» ed il gioco era fatto. Pochi i ricambi e neanche così eccelsi (A Madrid, giocarono Sola e Bigliardi; a Mosca, Corradini, finta ala).
Il Napoli di Mazzarri, invece, pur disponendo di tre tenori esprime un collettivo. Alla fase attiva partecipano esterni ed a volte, anche difensori. A quella passiva, danno una mano anche i tre dell’attacco. Insomma, un gioco più armonico, basato sulla teoria del mutuo soccorso e con una mentalità che Mazzarri ha saputo inculcare a tutti. «Ricordiamoci che siamo il Napoli e dobbiamo farci rispettare ovunque. Osare sempre quando siamo in possesso di palla. Mai aver paura». E soprattutto domani c’è da tirare fuori carattere, orgoglio e mentalità da grande.
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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