La vena polemica che accomuna gli atleti nostrani a quelli ispanici, però, è figlia di ragioni e cause differenti tra loro: in Spagna, dove lo sciopero è già ufficiale da giorni e con Lfp (Liga Nacional de Fútbol Profesional) e Afe (Asociación de futbolistas Españoles) che lavorano per salvare la seconda tornata, in seguito al mancato pagamento degli stipendi da parte di alcune società, i giocatori esigono una garanzia di percezione degli stipendi arretrati e chiedono che, in caso di mancato versamento del salario per tre mesi, possano rompere unilateralmente il contratto.
Diversa, invece, è la situazione in casa nostra. Dopo il fermento dello scorso dicembre la Lega di serie A e l’Aic (Associazione italiana calciatori) avevano trovato un accordo di massima sul contratto collettivo, motivo del malcontento dei giocatori italiani. “Il patto siglato lo scorso 30 maggio” – recita un comunicato di Damiano Tommasi, presidente Aic, – “non è stato mantenuto dalla Lega, riteniamo quindi impossibile iniziare un nuovo campionato senza un accordo collettivo”. Altra questione cara all’Assocalciatori è quella legata ai giocatori fuori rosa, l’ormai famigerato punto 7. L’Aic pretende che i calciatori messi fuori rosa per scelta tecnica continuino ad allenarsi con la prima squadra, evitando così i casi di mobbing. Nel corso della riunione tenutasi ieri pomeriggio, la Lega, che nei giorni scorsi aveva affermato di voler trattare e di essere disponibile al dialogo, ha respinto all’unanimità il testo sottoscritto dall’Associazione calciatori perché non ritiene accettabile che il contributo di solidarietà (misura prevista dalla nuova manovra economica varata dal governo) venga pagato dalle società come chiesto dai giocatori. Altro motivo di discordia riguarda sempre l’articolo 7, quello riguardante i giocatori fuori rosa, perché – sostiene Beretta – “andrebbe ad intaccare l’autonomia dei vari staff tecnici delle squadre”. Anche qui da noi, a questo punto, siamo in odore di sciopero.
Luigi De Magistris
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