Lo scrittore Roberto Saviano a “Che tempo che fa” su Rai 3 ha parlato di Diego Armando Maradona: “È impossibile per i non-napoletani capire cosa sia stato Maradona per Napoli. Quella tra Maradona e Napoli era un’alleanza naturale, un ritrovarsi, un insieme di generosità totale e furbizia, di istinto e calcolo. Quando nel luglio del 1984 giunse a Napoli per la prima volta, Maradona era un ragazzo di quasi 24 anni che arrivava dal Barcellona con un’aura di giocatore finito, perché il difensore dell’Athletic Bilbao Goikoetxea gli aveva spezzato una caviglia. Maradona era rotto, affamato e inquieto, quindi… perfetto per Napoli. Quando fu presentato ai tifosi, il San Paolo era pieno come se ci fosse una finale di coppa del mondo. Io sono del ’79, ero bambino quando lui giocava nel Napoli, e la prima volta che ho visto mio padre piangere dalla gioia è stato per Maradona! Diego dava la possibilità a intere generazioni di credere di poter cambiare le cose puntando solo sul proprio talento. Ha incarnato il riscatto per i napoletani, perché una squadra del Sud non aveva mai vinto uno scudetto, mai vinto una Coppa Uefa. Col pallone Diego ti faceva dimenticare tutta la schifezza di vita che si faceva al Sud, ti dava la possibilità di trascendere la tua miseria quotidiana. In trasferta, i cori che accoglievano i napoletani erano: lavatevi, Napoli-colera, non siete italiani. Maradona ne era rimasto sconvolto. Le vittorie del Napoli con lui furono la rivincita del Sud sul Nord. Ai Mondiali di Italia ’90, la nostra Nazionale finì in semifinale contro l’Argentina. La partita fu disputata proprio allo Stadio San Paolo. Io avevo 11 anni ed ero lì. E lì accadde qualcosa di incredibile: per un attimo la curva del San Paolo smise di tifare, come se stesse prendendo respiro… e poi si sentì solo: “Diego! Diego!”. Iniziammo tutti a tifare per Maradona. Non c’entravano più i confini geografici, non la maglietta, o la lingua: contava solo il fatto che ti identificavi nell’uomo che ti aveva fatto gioire, che ti aveva fatto vincere, e che l’aveva fatto anche con correttezza”. “Diego riuscì a far dimenticare la furberia della mano mostrando tutto il suo genio nel secondo gol, che è stato definito il gol del secolo. Le difese lo massacravano, ma lui cercava di non cadere mai, mirava a concludere l’azione. In campo era disciplinatissimo, lui, che era indisciplinato ovunque. Maradona fu imperdonabile nel suo cedere alla frequentazione di boss e trafficanti, ma era anche un uomo solo. Ha vissuto la solitudine degli esseri umani di talento. La Camorra ne comprese subito le debolezze, gli forniva la coca e lo teneva sotto estorsione. Tutto quello che era fuori dal campo lo potevi ottenere grazie alla mediazione, con i compromessi, ma in campo no! In molti mi chiedono cosa abbia significato Maradona per me. E’ stato la mia infanzia, gran parte dei momenti felici passati con mio padre li devo a lui. Sarà sempre la gioia negli occhi di un bambino che indossa la maglia del calciatore più forte del mondo”.
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