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Sara Simeoni: «Mennea: una lotta continua con la vita per traguardi impossibili»

«Il suo insegnamento: non arrendersi mai con grande tenacia»

Ho perso un amico e sono sconvolta. Potevo attendermi tutto, ieri mattina, ma non la terribile notizia della morte di Pietro.
Non volevo crederci quando hanno chiamato a casa e hanno detto, a me e a Erminio, che Mennea se n’era andato. Mi è crollato davvero il mondo addosso e in quel preciso momento se n’è andata una parte della mia vita. In un attimo, un attimo solo, mi sono passate davanti agli occhi pieni di lacrime mille immagini. Erano i momenti felici della nostra carriera, non solo i giorni stupendi di Mosca in quel 1980 davvero magico, tutti e due sul podio olimpico con quella medaglia d’oro che avevamo sempre sognato. Ho rivisto tante cose che credevo perse nella memoria. Sono pezzi di un mosaico collezionato in giro per il mondo, immagini di gare, di allenamenti. Parlavamo spesso dei nostri sogni, dello sport, della vita. Pietro appariva un ragazzo chiuso, qualche volta inavvicinabile, scontroso. Non era vero: lui era delizioso, dolce, intelligentissimo, in lotta continua con la vita per dimostrare non solo il suo valore ma che ogni traguardo non era impossibile. Mi diceva: hai visto, ho corso più forte degli americani, ha fatto il record del mondo. Di quel record, di quel 19”72, era fiero. E sapeva sorridere anche se non lo faceva spesso perché era in perenne lotta con se stesso. Formia, Roma, Montreal, Mosca, Pechino, Tokyo: quante vicende, quante avventure. Ho pensato: ma non è possibile, Pietro è ancora qui, con noi. Ho risentito la sua voce, inconfondibile. Mi sono ritrovata in casa a piangere e nel pianto ecco noi due, come sempre nello stadio, lui in pista, io a saltare. Mi sono rivista a Pechino e Tokyo, in quell’Oriente che nel 1980 era per tanti un miraggio e in quel viaggio con la nazionale. Era una festa ma Pietro, perfezionista come non mai, ha evitato ogni distrazione.
Dai, vieni a vedere la grande muraglia gli dicevo. E lui: no, mi alleno. Abbiamo vinto tutti e due – lui con due stupendi 20”03 nei 200 metri – ed eravamo felici perché in quei successi c’era la nostra fatica, i nostri sacrifici, i nostri allenamenti durante i quali, tante volte, nei caldi pomeriggi a Formia, ci siamo fatti coraggio. Insieme siamo andati avanti, un passo alla volta scrutando il futuro, costruendo il nostro carattere in quell’eremo perfetto di Formia.
Avevamo conquistato l’oro a Mosca in quell’estate del 1980 e appena tornati a casa ci siamo ritrovati allo stadio Olimpico di Roma. C’era il Golden Gala, il primo, e ritrovavamo gli americani. Un’emozione mai provata in quello stadio pieno come non mai e tutto per noi. Pietro ed io abbiamo vinto: che bella festa. Preferisco pensare così, adesso, rivedere le volate di Pietro, i miei salti e dopo un saluto tra noi, felici come non mai. Da Pietro ho imparato molto. Ho capito che la tenacia è indispensabile, che non ci si deve arrendere mai. Ciao Pietro, sarai sempre con me e con noi che ti abbiamo voluto bene.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

M.V.

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