Fabiano Santacroce, ex difenosre di Napoli, Parma e Brescia, in diretta su TMW Radio durante ‘Stadio Aperto’:
Oggi torna la Champions e a Napoli arriva Messi…
“Messi era aspettato, sicuramente il pubblico napoletano lo accoglierà bene. Anche perché magari hanno un sogno grande per il futuro”.
Qual è l’arma che dovrà utilizzare il Napoli contro il Barcellona?
“Sicuramente i giocatori devono dare tutto per tirare fuori un qualcosa di buono. Queste squadre, che danni arrivano in fondo in Champions e spesso la vincono, sono molto forti e preparate”.
Hai giocato una partita simile col Napoli?
“Quando giochi contro le grandi il San Paolo dà sempre qualcosa in più. Fare questa partita in casa è un bene, verrà affrontata sicuramente in una certa maniera”.
Di Lorenzo dalla Serie C agli ottavi di Champions…
“Per me è uno dei più forti, ha perso tanti anni ed è stato uno spreco per il calcio italiano. Adesso è difficile capire quali siano i giovani bravi con le nuove regole che impongono di farne giocare un tot. Ce ne sono troppi nelle prime squadre, alcuni ci arrivano troppo presto”.
I compagni che più ti hanno impressionato?
“Lavezzi era un giocatore di un altro livello. Ha fatto vedere ancora meno di quello che poteva fare. Un altro è Zalayeta, uno dei più forti con cui mi sia mai allenato. In due anni non gli ho fatto mai un anticipo, era come se avesse gli occhi dietro la testa”.
Hai giocato con Hamsik sia a Brescia che a Napoli, ti aspettavi che facesse la scelta di lasciare il Napoli e andare in Cina?
“Ci ho parlato, ho un ottimo rapporto con lui perché sei anni siamo stati compagni di stanza. Penso di essere stato il primo a criticarlo appena ho sentito le voci del trasferimento, l’ho massacrato. A mio avviso doveva continuare a fare la scelta che aveva sempre fatto, perché è voluto sempre rimanere a Napoli nonostante avesse avuto anche in passato tante richieste importanti anche a livello economiche. Se rimarrà lì? Tornare è sempre più difficile”.
Hai qualche rimpianto nella tua carriera?
“Sì, per esempio mi sono rotto le ginocchia per cinque anni. Poi ho avuto altre problematiche, che si vedono poco ma ci sono sempre nel calcio, che mi hanno fermato nel periodo migliore. Prima avevo anche smesso, ho fatto un anno e mezzo a casa a fare il papà. Un lavoro ancora più impegnativo (ride, ndr). Ora sono in C alla Virtus Verona. Tra le varie categorie la differenza più grande è la velocità di pensiero e non è facile giocarci, perché chi ha fatto la A deve mettersi allo stesso livello dei compagni. Mi alleno col sorriso e con la passione, finché ci sono continuo”.
De Zerbi aveva già l’atteggiamento da allenatore in campo?
“Non così tanto, non me lo aspettavo: mi ha stupito. Come allenatore me ne hanno parlato tutti bene, i suoi giocatori sanno quello che devono fare. È molto preparato e sono felice per lui”.
Ti ha fatto esordire Zeman…
“Ho visto giocatori vomitare con lui. Menomale avevo 19 anni, altrimenti adesso avrei smesso. I gradoni? Tutto vero. Gli allenamenti con lui erano tosti, fisicamente ti prepara in una maniera inimmaginabile. Sono gli unici anni in cui ho pensato di fare veramente un lavoro. Gli attaccanti si divertivano, loro correvano con la palla, per noi invece era una fatica. Dovevamo tenere la linea difensiva a metà campo e ovviamente gli avversari andavano sulla profondità”.
Sei stato convocato anche nel 2010 da Lippi in Nazionale: che ricordo hai?
“Bellissimo, il sogno di ogni giocatore è quello di allenarsi con i campioni della nazionale. Avevamo appena vinto i mondiali, ho avuto la fortuna di lavorare con Gattuso e Cannavaro. Mi dispiace che subito dopo mi sono rotto il ginocchio, mister Lippi mi aveva detto che mi avrebbe fatto esordire nella convocazione seguente”.
Hai preso a Coverciano il patentino da allenatore per la D?
“Sì anche se sicuramente non penso mai di allenare. Come mondo non è semplice, è molto difficile. Non mi piace il metodo lavorativo che usano sui giovani, si guarda poco la loro crescita e solo i risultati. E poi c’è anche tanta concorrenza”.
A quale allenatore sei affezionato di più?
“Stefano Borgonovo, che è venuto a mancare. Si divertiva con me, a fine allenamento, a fare l’uno contro uno. Avevo 16-17 anni, ero a Como. Lui mi ha insegnato che il calcio, oltre a essere lavoro e passione, è divertimento”.
Fonte: Tuttomercatoweb
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