Il virus che ha divorato l’erba del San Paolo, i contratti tra la società Calcio Napoli e due ditte di giardinieri che si sono avvicendate nella cura del manto di Fuorigrotta. E non solo. Anche l’improvviso black out di alcune telecamere interne allo stadio napoletano, i rapporti tra club e tifo azzurro, specie quello capace di fare la voce grossa firmando episodi che nulla hanno a che vedere con le sorti calcistiche della squadra di casa.
Eccoli i punti che hanno spinto la Procura di Napoli a non lasciare nulla di inesplorato sotto il profilo investigativo, tanto da aprire un’inchiesta che prende le mosse da quanto accaduto due domeniche fa, nel corso del match Napoli-Fiorentina.
Centomila euro di danni, tanto è costato portare le zolle da Milano a Napoli in vista della prossima partita casalinga. Cosa c’è dietro le condizioni del prato? Colpa o dolo? Da ieri c’è un fascicolo, un nucleo di polizia giudiziaria investito del problema. La Procura ha infatti delegato un’attività di accertamento conoscitivo alla Digos del primo dirigente Filippo Bonfiglio, nel tentativo di rimettere insieme i tasselli di una storia che ha danneggiato nelle casse e nell’immagine la società calcio Napoli. Nessuna ipotesi di reato preconfezionata, tanta voglia di capire, di mettere a fuoco.
Indagine condotta dal pm Antonello Ardituro, magistrato di punta del pool anticamorra, ma anche da anni impegnato al fianco dei colleghi del pool reati da stadio, gruppo di pm guidato dal procuratore aggiunto Gianni Melillo. Qualche punto di domanda: cosa ha consumato l’erba del San Paolo? Un fungo? Un errore di manutenzione o cosa? È possibile sostenere l’ipotesi sabotaggio, come per altro accennato da alcuni componenti del mondo politico-amministrativo cittadino? E non è solo una questione di manto erboso. C’è un legame tra il caso Napoli-Fiorentina e lo stop delle telecamere interne all’impianto partenopeo? Siamo tornati ai tempi dei petardi di Napoli-Frosinone, quando un gruppo di teppisti provò a taglieggiare il Napoli o c’è dell’altro? Si rileggono le carte, non è impossibile immaginare le prossime mosse investigative. Si va dall’analisi del cambio di ditta di giardinaggio dello scorso anno, sotto i colpi del clamore mediatico dettato da un episodio non ancora del tutto chiaro: la presenza a bordo campo, durante le partite del Napoli, di Antonio Lo Russo, rampollo latitante dell’omonimo clan dei cosiddetti «capitoni» di Secondigliano. La storia è nota e c’entra – ovviamente solo per inciso – l’erba del San Paolo: Lo Russo jr aveva una pettorina da giardiniere e poteva stazionare a bordo campo durante le partite del Napoli grazie all’amicizia del titolare della ditta di giardinaggio che fino a qualche tempo fa curava il tappeto verde di Fuorigrotta. Rapporti di amicizia gli hanno consentito di stare a pochi passi dal campo, ma anche di mostrarsi come capo ultrà, almeno secondo quanto ricorderà Lavezzi ai pm di Napoli nel corso di un’altra inchiesta: «Ricordo la foto di Antonio Lo Russo, è un tifoso, veniva a trovarmi a casa, era un ultrà». Il figlio del boss della camorra aveva libero accesso al San Paolo, grazie all’amicizia del capo dei giardinieri.
Tanto clamore, troppo clamore, possibile che ora la Procura voglia ascoltare i protagonisti di questa e di altre vicende. Possibile che voglia incontrare i vertici societari, rileggere le note di polizia e carabinieri sugli incontri interni del Napoli disputati nel corso degli ultimi mesi. Si procede con il bisturi, anche se la sensazione di molti è la stessa di qualche anno fa: esistono zone franche lì al San Paolo, troppi punti oscuri, che ora spingono gli inquirenti ad aprire una sorta di fascicolo contenitore, a partire proprio dalla prima casalinga del Napoli.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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