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Romano, il regista del primo scudetto del Napoli: “Paragoni complicati, ma lo spirito è quello dell’87”

"Quel tricolore è stata la gioia più grande della mia carriera sono ricordi che ritornano sempre in mente con grande orgoglio e soddisfazione"

10 maggio 1987. L’urlo del San Paolo fa tremare i vetri delle finestre a Napoli, ma anche nell’intera provincia. Esplode la gioia del popolo intero, in città si fa festa per il primo scudetto della storia del club. Balconi, mura, macchine, vetrine dei negozi, tutto si tinge di azzurro: è il riscatto di un popolo che da sempre cerca nello sport la via per risorgere dall’inferno sociale che quasi come una condanna l’attanaglia.

Le grandi parate di Garella, che alle mani preferiva i piedi, la diga FerraraBruscolotti, i polmoni diBagni, i gol e la classe disarmante del più forte di tutti, Diego Armando Maradona. Ma non solo. A far la differenza quell’anno sono anche le geometrie dettate da Ciccio Romano, arrivato quasi in sordina dalla Triestina nel corso del mercato invernale. Ricamare e mettere ordine è sempre stato il suo mestiere, al punto che El Pibe de Oro inizia a chiamarlo Tota, come sua madre, per come gestisce la mediana di Ottavio Bianchi:

“Quel tricolore è stata la gioia più grande della mia carriera – rivela lo stesso Romano ai microfoni di Gianlucadimarzio.com -, sono ricordi che ritornano sempre in mente con grande orgoglio e soddisfazione, anche perché sono di origini napoletane. Il primo per me e per il Napoli, non ci sono parole per descrivere la mia gioia di quei giorni, ma sono contento che ci chiamino in causa tutt’oggi quando la squadra va bene come termine di paragone, anche se risulta complicato farne. La nostra forza? Avevamo in squadra il più grande campione di sempre, una grandissima fortuna, ma l’obiettivo era quello di vincere giocando da squadra, nonostante la forza di Diego, con cui avevo un rapporto fantastico”.

E ha ragione Romano. In un momento così, con la spedizione azzurra fortemente lanciata verso la vetta della classifica, in città iniziano a filtrare i primi paragoni. Ma quali sono gli aspetti che uniscono le due realtà? “La mentalità si può accostare a quella che fu di quel Napoli. Noi andavamo su tutti i campi per vincere e quello di oggi mi pare che come idea calcistica sia molto simile. Gli azzurri ora sono sicuramente nel lotto di coloro che possono vincerla. Sarri sta dimostrando di essere un ottimo allenatore, ma aggiungo che è una persona intelligente e credo di dire tanto. Sta cercando di trasmettere alla squadra un’idea vincente e il gruppo sta dimostrando di essere dalla sua parte, cercando di assimilare il tutto il prima possibile, proprio come noi con Bianchi”.

L’esplosione di Lorenzo Insigne, fra i grandi trascinatori di questo primo scorcio di stagione, proiettato verso la definitiva consacrazione, ha scatenato la diatriba sull’ipotetica riassegnazione della maglia numero 10. Una bestemmia per alcuni, gesto di buon auspicio per altri: “La lascio agli innamorati dei numeri, io mi tengo l’affetto che mi lega a Diego e le sensazioni di aver giocato tre anni con lui, ma secondo me Insigne è un grandissimo giocatore e mi fa ancora più piacere perché è napoletano”.

Fonte: gianlucadimarzio.com

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