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Romano, Gaetano, D’Auria e Anastasio: ecco le storie dei ragazzi della Primavera

L’onda verde (e però anche azzurra) che muove verso il futuro s’ingrossa d’ulteriore materia grigia ed in un’amichevole apparentemente inutile, persino fastidiosa (il 14 agosto, in contemporanea con Italia-Argentina), ciò ch’emerge dal mucchio è la meglio gioventù di un Napoli che può permettersi di guardare lontano, dopo aver buttato un occhio nella cesta del settore giovanile.
Non c’è soltanto Lorenzino Insigne (che ormai appartiene al mondo dei grandi), non c’è solo anche Robertino Insigne – ormai in prestito al Perugia – e le prospettive non si fermano a Tutino e a Palmiero, pure loro reduci dall’Under di competenza e sufficientemente reclamizzati: ci sono volti nuovi e forze fresche, che per una notte hanno potuto cogliere la possibilità di svelarsi, per quel che gli è stato concesso. Il calcio estivo serve pure a questo, a far da vetrina (per quel che può), ad offrire qualche opportunità, a mostrare il talento senza lo stress da tre punti e con ritmi con i quali si può anche competere: poi bisogna curare quel giardino e fare in modo che nel parco ci sia sempre più folla e che il vivaio si allarghi. Cesena-Napoli è divenuta la chanches che non t’aspetti persino per quattro “Primavera” (che fino a giugno scorso giocavano negli Allievi), enfant prodige promossi per esigenza e che hanno avuto la possibilità di emozionarsi e però anche di concedere un argomento di riflessione sulle loro qualità, su quel codice genetico che sembra promettere bene. Una seratina niente male, rinfrescata dal destino che ci ha messo del suo, facendo notare nel bel mezzo dell’oasi tale Romano, pure lui regista, come il Ciccio del primo scudetto. Nomen omen.

ANTONIO ROMANO – Sarà che già quand’era coi Giovanissimi, il soprannome era Gerrard. E lui, Rafa, quello vero, Gerrard, l’ha allenato al Liverpool. E allora se l’è guardato. E subito s’è pure rassicurato. Aveva fatto la scelta giusta a farlo giocare. Lui, Antonio Romano, l’unico Primavera tra i grandi. Titolare. Centrocampista di presenza: anche scenica. Per quel modo tutto suo di stare in campo. Personalità, testa alta, tosto se c’è da chiudere e sempre pronto a giocarla: semplice, senza esagerare. L’ha fatto a Cesena. Il debutto. E che debutto. Quasi tutta la partita. Di fianco a Donadel. Poi pressocché alla pari. S’è fatto dare il pallone, s’è preso la responsabilità di impostare e anche lo sfizio di provarci da lontano. Diciassette anni e un po’, dice la carta d’identità. Pochi davvero. Eppure tanti davanti a lui. I procuratori (Andreotti, Della Monica, Ottaiano: in rigoroso ordine alfabetico), gli stessi di Insigne. La carriera chissà. Buona la prima, buonissima. Da strappare i complimenti a Benitez e pagelle da chi è già indicato: è lui quello bravo. Prematuro, certo. Però con quel soprannome, e tal cognome, sembra quasi predestinato. Gerrard l’uomo di Benitez, Romano quel Ciccio che “aggiustò” il Napoli del primo scudetto. Per Maradona era la Tota, la mamma della squadra. Lui, Antonio Romano, per ora è Toto.

FELICE GAETANO – Fuori Romano, dentro Gaetano: la staffetta “della meglio gioventù” azzurra. Minuto 85 di Cesena-Napoli, stadio Manuzzi. Esce il migliore in campo. Quello che ha più impressionato. E che dopo nemmeno una partita sembra già svezzato, pronto per sognare e soprattutto crescere. Fuori Romano allora, e dentro Gaetano. Che i cinque minuti se li è fatti venire aspettando il suo momento, allenandosi, spalancando gli occhi nelle notti di Champions e poi addormentandosi rigiocando col pensiero quelle partite chissà quante volte. Cesena la capitale della scugnizzeria azzurra. Otto Primavera aggregati, quattro quelli sbocciati. Ma tutti in fiore.
Gaetano… Felice mai come quella sera. Trequartista agile, col passo di chi ti punta e salta. Ha la giocata. Fa l’assist, vede la porta. Un dieci dentro con un sogno paradossale: non indossar mai quella maglia; desiderarla, rispettarla come tutti quelli che giocano nel Napoli e neanche osano aprire il sacrario dei ricordi di Maradona. Gaetano il talento. Piaceva alla Roma, sta diventando grande in azzurro. Anche con quello della nazionale. Under 16 già, e pure 17 ogni tanto. Più Under di Cesena però non s’è mai sentito: piccolo tra tanti grandi. Cinque minuti appena. Per cominciare. Però lunghi, lunghissimi, come tutti gli anni che ha davanti. E può prendersi.

GIANLUCA D’AURIA – Quando s’è alzata la lavagnetta, c’era Colombo accanto a lui, il terzo portiere. Doppio cambio, ha urlato la panchina all’arbitro. D’Auria s’è dato un pizzicotto. Voleva capire s’era davvero tutto così come gli sembrava. Era un’amichevole, certo. Eppure era il suo debutto. E allora emozioni forti, sensazioni che poi non scordi. E che chi ha già vissuto, conosce, e bene. Colombo ha capito. Ci sono vent’anni di differenza tra i due. Sapeva che doveva scuoterlo: una pacca sulla spalla, due parole giuste (in tutti i sensi) e un sorriso rasserenante. Gianluca D’Auria è entrato in campo felice. Libero. Ancor più ragazzino (se possibile) dei pochi anni che ha. Prima punta, attaccante esterno. S’è proposto, s’è fatto dare la palla, voleva godersi il momento, viverlo come l’aveva sognato da piccolino. Con un’altra maglia. Storie di calcio. E perciò di mercato. Anche se dei giovani. D’Auria bomberino da sempre: trenta gol in una sola stagione con la FC Meridiana. L’Inter ci puntò forte. Lo acquistò. Lo portò a Milano. Immaginava, per caratteristiche, un altro Palacio. E invece eccolo qua. Via le strisce e via pure il nero. E’ rimasto solo l’azzurro. Il memorial Lugaresi a Cesena il primo quarto d’oro di gioia su cui costruire le fondamenta di una carriera. Più che Palacio, c’è da fare il palazzo. Con vista sul San Paolo, ovviamente.

ARMANDO ANASTASIO – Buon sangue non mente. Il calcio nel codice genetico, patrimonio ereditario. La passione è tramandata. Da padre in figlio e poi allargata al cugino. Armando Anastasio è figlio di Paolo, ala destra con un po’ di finte e guizzi tra Empoli e Siracusa, e ora papà orgoglioso e anche zio, di Tutino, esterno anche lui. Col Napoli in ritiro a Dimaro. Storie di famiglia. Storia di Armando Anastasio. Sette minuti a Cesena. Sette minuti per sentirsi già grande, per mettersi le ali sotti ai piedi e scattare, correre, prendersi il campo e prenotare il futuro. Fuori Bariti dentro Anastasio. Centrocampista ch’era un bambino, poi portato all’ala sinistra da Ciro Muro. Che al pallone dava del “tu”, ai ragazzi i consigli giusti. Un’intuizione che è quasi una svolta. Anastasio si applica, cresce, dimostra, merita. Il Napoli mondiale in giro con le nazionali, i giovani a Cesena per far numero. E giocare. Anastasio tra i quattro fortunati. Un tempo intero sognando di entrare dalla panchina, l’intervallo accanto a Cannavaro (lo scugnizzo chioccia), poi su e giù lungo la fascia aspettando un cenno, un gesto, il momento più atteso. Palla fuori, dentro Anastasio. Non avesse fischiato l’arbitro la fine, non sarebbe mai più uscito.

Fonte: Corriere dello Sport.

La Redazione.

D.G.

 

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