“Il dolore è sordo, il dolore è muto. Il dolore è sordomuto. Sordo perché ascolta solo se stesso, muto perché non ci sono parole che possano parlarne.”
Così Andrea G. Pinketts, grande firma del Noir italiano, descrive il dolore in uno dei suoi romanzi. Per quanto riguarda noi tifosi questa è solo una delle definizioni del sentimento succitato, noi che in anni di soprusi e delusioni abbiamo assimilato tutte le sfumature del dolore morale. Come la stagione appena conclusasi che ha sparso delusione, amarezza e ansia come una dea benevola passata improvvisamente al lato oscuro, la stessa dea bendata d’amore per questa squadra che, prima adulatrice poi traditrice, ha fatto le fortune del Napoli nello scorso campionato. Eppure ci è bastato poco per abituarci al dolce, noi abituati da troppo a buttar giù bocconi amari ci siamo auto-cullati nell’illusione di mangiar bene per molto tempo ancora. Siamo Napoletani, ciò è concesso a tutti ma non a noi, e così dopo appena un anno di soddisfazioni, siamo subito costretti ad un rimpiazzo agrodolce. Il nostro è un dolore di chi è costretto a sperare e rassegnarsi almeno cinque volte in una stagione, il dolore di chi ha visto sfumate le speranze di un terzo posto già a marzo e che poi si è ritrovato rinfrancato dalla solita viscida speranza riposta nell’ultima semi-amichevole di campionato. Di quelli costretti a sporcarsi gli occhi con errori e fantasmi del recentissimo passato, affogati nel perenne timore che quest’ultimi tornino proprio per l’appuntamento di settimana prossima. Il nostro è il dolore di quei tifosi intellettualmente onesti e obiettivi che a differenza di quelli tutti “Coerenza e Mentalità” sostengono i propri beniamini fino alla fine e ci credono fino alla fine perché, se mai qualcuno se ne fosse dimenticato, la stagione partenopea non è ancora finita. A pensarci la nostra stagione è appena iniziata. Partiamo alla volta di Roma con la consapevolezza di chi è più abituato a perdere che a vincere. Entriamo in una settimana magica, una settimana dove non esistono i Lavezzi nerazzurri, una settimana dove non esiste un De Sanctis a caccia di farfalle, una settimana dove non esistono i “C’è mancato solo il gol”, “Questa squadra era sest’ultima abbiamo fatto un miracolo”, “Abbiamo giocato cinquanta partite e la benzina è finita”. Una settimana che dura soli novanta minuti e che può ripulirci la faccia da tutti i soprusi e le umiliazioni che ogni tifoso VERO porta sulla pelle come medaglie tatuate. Perché in fondo a noi tifosi non interessa nulla di ciò che sarà, di quello che è stato, da oggi conta solo il presente. Tutto ciò che c’è stato non esiste più, nè i lati positivi nè i lati negativi, non esistono più le sfortune di Londra come non esistono le fortune di Manchester. Non esistono i Donadel fantasma nè i Britos infortunati. Come non esiste quel mister che, senza alcun rispetto, al proverbiale coltello preferisce tenere tra i denti un cucchiaino da dessert, che nell’animo, negli occhi e nelle parole sembra già porgere la guancia ai rivali bianconeri.
Da oggi non esiste più nulla se non l’orgoglio di un popolo e di una squadra su cui tutta l’Italia ha sbavato in questi due anni. Siamo già a Roma, il pensiero è fisso lì, nelle orecchie quelle note de O’ Surdato Nnammurato. A cantarle non sono gli juventini dello Juventus Stadium, quelle le abbiamo già dimenticate, perché i Napoletani dimenticano in fretta. Infatti quelle note non ci sono più, ora nelle orecchie come nella testa, negli occhi e nel petto c’è solo un ritornello.
…chi ha avuto avuto avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammece o’ passato, simme ‘e Napule Paisà!
Luca P. Trombetta
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