A Castel Volturno nell’ufficio un tempo di Pierpaolo Marino, ex dg del Napoli e attuale direttore generale dell’Atalanta, si respirava quell’aria di disordinata energia delle imprese ancora tutte da scrivere: la promozione in B, poi il salto in A e ancora l’Europa e tutto il resto. E c’erano, e forse ci sono ancora, cinque coppe dei tornei giovanili appoggiate su una mensola, quasi a dire: i giovani sono il cuore del problema, e insieme la soluzione. Mercoledì altri giovani, a Torino, hanno dimostrato alla Juve che la scuola napoletana del calcio è più viva che mai.
Avete iniziato otto anni fa senza possedere nemmeno il settore giovanile.
«La rinascita del Napoli baby bisogna dividerla con Gigi Caffarelli e con Santoro, che scelsi io e del quale ho stima. Quando il nuovo club cominciò a funzionare mi telefonò Caffarelli e mi disse: caro Marino, sapendo del fallimento del Napoli, hanno saccheggiato tutto, anche i ragazzi del vivaio, io sono riuscito a salvare cinquanta di quei giovani, possiamo iniziare da loro».
Cosa accadde?
«Cominciammo la nostra avventura. Molti dei ragazzi di oggi vengono proprio da quell’esperienza, in particolare Giuseppe Fornito. A tredici anni lo portammo da casa sua in Calabria all’Holiday Inn di Castel Volturno e da allora è sempre rimasto col Napoli. Stessa cosa accadde con Iuliano. In quel primo anno, grazie a una fitta rete di osservatori, reclutammo trecento nuove leve».
C’è possibilità di rivederla in azzurro?
«Non posso rispondere su un fatto inesistente. È un’eventualità che al momento non c’è. Certo è che Napoli coincide con gli anni più belli della mia attività. E ritornarci provoca sempre turbamenti».
Il Napoli si chiama sempre Napoli, ma nell’immaginario di molti chiamarsi così dovrebbe automaticamente portare scudetti, produrre continuamente campioni, mettere sempre timore all’avversario. Perché dunque a una squadra pur seconda in classifica, si muovono tanti appunti?
«Equilibrio, bisogna predicare equilibrio. Certo, le delusioni possono esprimersi ed esistono, come nel caso del pareggio con la Juve. Che resta un risultato che tutti si augurerebbero. Tuttavia essere riusciti sino a prima del match col Chievo a tenere testa a una squadra di tale levatura europea è un gran risultato. Ecco, magari ci sarebbero potuti essere meno punti di distacco, ma il calcio è così e non bisogna mai sbandare. Gli azzurri, sono convinto, non avranno altre impasse. Ovviamente, a cominciare dal dopo partita di domenica con l’Atalanta».
Il Napoli non vince da cinque giornate, è evidente una flessione di gioco. Più che un nodo, si tratta di un groviglio di problemi che si ripetono. Lei ha riportato il Napoli in A e in Europa e l’ha dotato di giocatori adeguati, cosa manca ora a questa squadra?
«A mio parere c’è un’involuzione, se così la si può definire, nella fase d’attacco. Lavezzi, con gli assist e i gol, era il valore aggiunto della squadra e non è stato sostituito. Il Pocho fungeva da parafulmine contro le difese avversarie, per fermare lui si liberavano Cavani o Hamsik. E viceversa. Plaudo all’intuito di Mazzarri che per ovviare all’assenza di un Lavezzi, purtroppo mai sostituito, ha trasformato Cavani in una falsa prima punta, però alla lunga tutto ciò sta diventando prevedibile».
L’ambiente è così difficile come hanno detto De Sanctis e Mazzarri?
«Napoli è impareggiabile, chi non ha mai lavorato in questa città non conosce un’importante porzione del calcio. La squadra è amata e popolare, i tifosi ti fanno sentire un re. Ecco perché si hanno maggiori responsabilità rispetto ad altre piazze».
È lecito affermare che De Laurentiis ha avuto due uomini forti al suo fianco, prima Marino e ora Mazzarri?
«Walter oggi è l’interlocutore tecnico per eccellenza, ha personalità e conoscenza. Per lui parlano i risultati e i giocatori scelti. Io ho tracciato la strategia del club, considerando che De Laurentiis era completamente a digiuno di calcio, al punto che mi confessò: nella mia vita ho visto una sola partita, una finale di Champions, non so neppure quante sostituzioni si possono fare. Aurelio mi diede le chiavi del Napoli, io gli feci anche da guida. Ricordo che voleva subito spendere e spandere, desiderava ingaggiare Gilardino per il salto in B. I costi del bomber erano eccessivi. Lo dissuasi. Prendemmo, invece, Calaiò e concordammo di guardare con attenzione ai costi e i ricavi per evitare un altro crac finanziario. Perché proprio in serie B, il vecchio Napoli dissolse il proprio patrimonio e si avviò verso il fallimento. Io, invece, riuscii a chiudere quella stagione addirittura con un attivo di quattro milioni».
Confermerebbe Mazzarri?
«Certo e anche subito».
Sarebbe giusto vendere Cavani?
«Mai. Un grande club non lascia andar via i grandi interpreti. Sono contro le clausole rescissorie, esse rappresentano la volontà di vendere. Non le ho mai volute inserire nei contratti. Vorrei squadre rappresentate dai propri simboli. Come la Roma con Totti. Oggi nel calcio, però, diventa difficile assicurare queste conferme».
Che rapporto ha con De Laurentiis e, a distanza di anni, può raccontare cosa accadde in quell’autunno 2009, quando fu esonerato?
«Con Aurelio ci stimiamo con reciproca e ricambiata simpatia. Due i motivi del divorzio. Il primo riguarda la maturazione di De Laurentiis che dopo cinque anni di pieni poteri affidati a me, volle agire in prima persona per il Napoli. L’altra spiegazione fu la campagna acquisti di quella stagione: non piacque. Ma il tempo è galantuomo, perché, tranne Cavani, era la stessa che per 10/11esimi un anno fa ha affrontato il Chelsea in Champions League. Sono andato via con sofferenza e in silenzio. Regalai il mio contratto, rinnovato per altri cinque anni, al Napoli. Perché non ho mai svolto le mie mansioni per sperperare denaro o guadagnare a iosa».
È vero che non volle Mazzarri al posto di Reja nel 2008?
«Tutt’altro. Quell’anno avvicinai anche Spalletti. Con Mazzarri ci incontrammo in un casolare in Toscana, pranzammo e concordammo tutto. Poi comparvero gli ostacoli al suo passaggio al Napoli: la squadra di Reja riprese a ottenere risultati, tanto da qualificarsi per la Coppa Uefa e la Samp si oppose al trasferimento. Marotta mi disse che il presidente Garrone non avrebbe lasciato libero Walter».
È tutto. Buona partita Marino.
«Grazie, ma una parte di me la vivrà ricordando Carlo Iuliano, mio compagno di viaggio nel Napoli di Ferlaino e del primo scudetto. Il mio cuore è con lui e con l’amicizia che mi ha legato a una persona così speciale che manca a tutti, che idealmente resterà per sempre al mio fianco».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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