L’eco d’un anno racchiuso nella sintesi d’una fotografia: cos’è stato, cosa poteva essere, cosa si temeva fosse? Luglio 2013, sembra passata l’eternità: la difesa a tre, le paure di andare ad imbattersi in un innovatore, l’addio di Cavani. Se ne è andata una stagione, lasciando nella coppa Italia il resoconto di una favola che va aggiornata: perché il calcio è questo, nasce e rimuore ogni estate, anzi ogni domenica, pardon quasi tutti i giorni. La parola-chiave, manco a dirlo, resta scudetto: perché è lì che Napoli, per strada, va a cercare il percorso giusto; però, ripensandoci, sembra sia stato proprio bello, con le luci abbaglianti e persino nelle umanissime ombre. E quando si va in vacanza, da quando s’era bambini, per raccontarsi, basta dare un’occhiata alle pagelle, che non vogliono aver la pretesa d’eleggere buoni e cattivi – o migliori e peggiore – ma rappresentare un riassunto.
RAFAEL 6,5 – Esce di scena proprio quando s’è preso il paloscenico: a Swansea fa cose da pazzi e ci rimette persino il finale di stagione. Ma il futuro gli appartiene.
REINA 7 – Quando si dice il carisma, la personalità: in lui c’è il respiro internazionale, un pizzico di guasconeria che non si sgonfia neanche con qualche confidenza di troppo in palleggio. Gli errori di Bergamo e di Udine non ne contaminano l’autorevolezza.
ALBIOL 6,5 – Una fase ascendente stellare, il difensore che Napoli inseguiva più o meno dall’altro secolo. Poi torna tra gli umani, persino con le debolezze che vanno riconosciute ad ognuno. Ma resta l’impressione dell’avvio folgorante.
BRITOS 6 – Meglio, non ancora benissimo: eppure ha potenzialità enormi che vengono soppresse da una tensione che (probabilmente) lo assale.
FERNANDEZ 7 – E allora? Stavano per lanciarlo nella pattumiera del mercato, dopo due stagioni da precario. E’ giocatore, ora se ne sarà convinto anche lui. Ed era stato spedito al Getafe, perché allergico alla linea a tre: mah…
HENRIQUE 7 – Sorpresa: sa fare l’esterno destro, il centrale difensivo e di centrocampo; sa fare gol da stropicciarsi gli occhi. Sa far impallidire pure i detrattori (quelli a prescindere).
GHOULAM 6,5 – Quando capirà che non è necessario andare alla conclusione dai trenta metri, avrà fatto compiuto un altro progresso. Ma garantisce spinta, copertura, diagonali. Ed è pure (ancora) calcisticamente un ragazzino.
MAGGIO 6 – Un menisco ed uno pneumotorace. Fatica ad assorbire la difesa a quattro, ma si scioglie alla distanza e dà la sensazione di affidabilità. Però prima, in passato, era devastante
MESTO 6 – Non si merita la riconferma a scatola chiusa se non si hanno doti pure umane: alto senso della professionalità, capacità di interpretare la linea in ogni dove ed una dedizione che va al di là delle prestazioni.
REVEILLERE 6 – Politicamente corretto, però vivendo sempre nel limbo. Si rimette i pantaloncini in fretta, dopo l’ennesimo infortunio e paga quei mesi d’inattività.
ZUNIGA 6 -Si arrende – ma guarda un po’ – il giorno stesso in cui ha firmato il contratto e in Italia l’aforisma di Andreotti che resiste se lo ritrova appioppato addosso. Per i primi due mesi è da sei.
BEHRAMI 6 – Questo è un altro calcio, nel quale s’imbatte nella fase del palleggio; poi entra in una sorta di campana, dalla quale resta intronato dai rintocchi. E diviene un po’ vittima di se stesso.
DZEMAILI 6,5 – E’ il suo destino partenopeo: lottare contro la precarietà. Eppure segna, e mica poco, dà un contributo, ma si ritrova sistematicamente nella penombra. Ma c’è, quando serve.
HAMSIK 6 – Parte come mai, chiude come mai: la verità valla a capire, certo non può essere il modulo. Va in sofferenza, si fa pure male, però coglie tangibilmente l’amore di Napoli: mai un istante di insofferenza.
INLER 7 – Uffà, avrebbe potuto dire: se sbagliava un passaggio, si avvertiva la disapprovazione del san Paolo. Ha resistito, ha mostrato il carattere del leone, ha preso la squadra per mano: magari non ha spaccato i cuori, perché il lavoro sporco non viene colto, però s’è portato il centrocampo a spasso.
JORGINHO 6,5 – Entra in campo ed abbaglia: in proiezione, un po’ Pirlo e un po’ Xavi. Poi scopre le difficoltà del ruolo di leader in una dimensione internazionale, resta fuori dal listone dell’Europa League ma accumula minuti.
CALLEJON 8 – Come fare innamorare di sé: e fosse solo per i gol, che sono venti in ossequio a Rafa; ma è un genio scovato nella panchina del Real, pagato niente rispetto ai prezzi correnti, è una sorta di Full Metal Jacket, s’addestra (e duramenteZ) per fare di tutto. Una bellezza.
HIGUAIN 7,5 – Prima di lui c’era il mostro: centoquattro gol in un triennio. E’ indiscutibilmente la star che il Napoli si lega al petto: ha ascendente, generosità, è altuista, vive per segnare ma senza lasciarsi divorare dall’ansia; ottobre è un mese inquietante, il problema fisico diviene un caso: lo gestisce, poche chiacchiere e ventiquattro autografi complessivi. Ma ha margini per conquistare (del tutto) Napoli.
INSIGNE 7 – Quando il gol sta diventando un’ossessione, ritrova il Lorenzino scugnizzo dei begli anni di Pescara e del 4-3-3; s’industria a coprire, fa il campo in lungo (e in largo), arriva a quota nove, timbra la finale di coppa Italia.
MERTENS 7,5 – Lo spacca-partite. Impiega un paio di mesi per ambientarsi poi è un tornado: vale per due; ha diciassette polmoni, ha sensibilità nel calciare, ha il fiuto per il gol; ha quello che serve per catturare l’anima della gente.
PANDEV 6,5 – Deve industriarsi tra la via di mezzo e l’area di rigore. Riesce a garantire non soltanto la materia prima, ma anche soluzioni diverse alla manovra. Però è comunque un filo dietro agli altri. Ma a testa alta si prende quel che può.
ZAPATA 6,5 – La diffidenza è il primo nemico: a Marsiglia raschia dal fondo del barile un gol che lo ricarica; poi chiude con numeri convincenti, che testimoniano la presenza, in lui, d’una potenzialità d’un centravanti un po’ vecchio stampo ma mai fuori moda.
BENITEZ – 8 – Stravolge il san Paolo con un calcio che è di respiro universale ed una vocazione offensiva che serve per spingersi oltre, per volare altissimo, per sedurre. Ha capacità dialettiche, sa allenare in campo e pure l’ambiente. Si chiama stile Benitez.
Fonte: Corriere dello Sport
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