Ventuno anni ad osservare il (grande) calcio dal buco della serratura: e per quella generazione di assenti giustificati, c’è una rivincita da non perdersi. Napoli-Villarreal colma il vuoto, induce a gonfiare il petto, spazzola via – d’incanto – amarezze ormai lontane, quasi indistinte, soffocate dall’atmosfera magica di un san Paolo come non s’è mai visto da Diego in poi. E’ una serata mozzafiato, quasi surreale, con la scenografia ammirata in tv stavolta a portata di mano e la musica che fa da sottofondo. E’ una notte che brucia emozioni, che risistema i conti con il passato ma che lancia nel futuro in appena un quarto d’ora, lampi che restano impressi nella memoria e che consegnano un’opzione morale. Si comincia ed è già finita, con un miniesercito di famelici incursori che sballotanno gli spagnoli di qua e di là, li disorientano, li accerchiano, li demoliscono. E’ calcio danzato, quasi spagnolo, tanto palleggio e verticalizzazioni, con un Lavezzi imprendibile che sistema il suoi piedini in qualsiasi momento decisivo e trasforma i dettagli in elementi principali. E’ il Pocho al quattordicesimo che va a cercare Hamsik sull’altra sponda e allo slovacco viene semplice la scelta più complicata, favorita pure dallo scivolone di Zapata: cercare l’angolo lontano, arcuando la traiettoria
E c’è di nuovo Lavezzi, tre minuti dopo, a fare d’uno stadio un manicomio, perché i quarantacinquemila sono colti da improvviso delirio quando l’argentino sistema uno dei suo scatti incontenibili, guadagna il rigore, e lascia che sia Cavani a mettere in ghiacciaia lo spumante. Il tappo è già saltato.
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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